Dopo il Leone d’Oro per “Somewhere” Sofia Coppola era attesa alla conferma di quanto di buono si è detto finora a proposito del suo cinema. Minimalista è il termine più usato per definire lo stile della regista statunitense, un cinema spesso fatto di sensazioni, di percezioni, giocato sul filo del non detto. Qui le carte in tavola sono mescolate: “Bling Ring” è a tratti didascalico (in particolar modo in alcune delle affermazioni fuori campo del giovane Mark) e quel che peggio ripetitivo. Il tema della “banda del Bling Ring”, come è stato ribattezzato dai media ai tempi in cui la vera banda scorazzava tra le ville di attori e attrici di Hollywood, è senza dubbio un argomento di discussione interessante, e in qualche modo torna in mente il tanto chiacchierato “Spring Breakers” di Harmony Korine, anche se il film di Sofia Coppola è senza dubbio più valido.
In una Los Angeles senza freni un gruppo di adolescenti, ossessionati dalla celebrità e dal glamour, passa le nottate intrufolandosi nelle abitazioni delle celebrità hollywoodiane al fine di rubare vestiti, accessori, soldi e gioielli e sentirsi in qualche modo parte dello showbiz. La banda del Bling Ring è composta da quattro ragazze e da un solo ragazzo, tutti di buona famiglia, disposti a tutto per entrare a far parte di un mondo che la società americana ha trasformato nel nuovo “american dream”.
Los Angeles con le sue luci abbaglianti e la luminosità delle sue notti si conferma ancora una volta la città ideale per girare in digitale, convincendo anche Sofia Coppola a sperimentare le nuove tecnologie. Tuttavia il film sembra essere fin troppo ripetitivo, il destino dei personaggi non ci sta particolarmente a cuore, e tutto ciò fa apparire “Bling Ring” un film freddo nonostante il suo dinamismo, l’ottimo montaggio e il sempre valido lavoro di regia (molto bello in tal senso il pianosequenza di una delle rapine, con l’inquadratura fissa dall’alto di una collina). Una nota a parte per Emma Watson, sempre più brava e disinvolta, finalmente libera da ogni legame con la saga di Harry Potter che l’ha portata alla ribalta (e bravissima nell’evitare la cosiddetta “sindrome di Mark Hamill”). “Bling Ring” ad ogni modo ci lascia con una pesante preoccupazione: dopo “Spring Breakers” si sta forse aprendo un filone cinematografico incentrato sulle ragazzine americane attratte da lusso, glamour e soldi? Per favore, vi prego, risparmiatecelo.