Festival di Roma 2013 (Giorno 1): Veronesi apre le danze, si comincia!

8 novembre 2013, il Festival Internazionale del Film di Roma riapre i battenti: ottava edizione, la seconda della gestione Muller. Un’edizione più povera dal punto di vista pratico (meno sale, tagliate le strutture esterne), ma forse più ricca per quel che concerne il lato festaiolo della rassegna romana. Più star, richieste a gran voce dal pubblico dopo il mezzo passo falso dello scorso anno, più titoli di grande richiamo (e meno anteprime mondiali). Finita la premessa, che mi ero preparato già da qualche tempo, eccomi a casa, alla fine di questa prima giornata di Festival. Psicologicamente provato dopo quattro film, fisicamente claudicante dopo il film conclusivo turco: dopo tanti anni dovrei aver imparato che in Sala Petrassi bisogna sedersi soltanto nei posti laterali, soprattutto per chi come me ha le gambe lunghe. Ma ogni anno, il primo giorno di Festival, commetto lo stesso errore, il risultato è una posizione da contorsionista, incastrato tra le poltrone della Petrassi. Non è divertente.

Passiamo ai film di oggi: a Giovanni Veronesi l’arduo compito di aprire “col botto” l’ottava edizione del Festival di Roma: se da un lato prettamente commerciale l’operazione ha avuto riscontro positivo (sala piena), dall’altro ha un po’ deluso le aspettative. Intendiamoci, “L’ultima ruota del carro” non è un brutto film: si sorride, ci sono attori perfettamente in parte (Elio Germano e Alessandra Mastronardi, ma anche Ricky Memphis), e buona parte di storia italiana degli ultimi 30-40 anni (anche se su Twitter c’è addirittura chi commenta che “il film di Veronesi è la risposta alla domanda: come sarebbe stato “Una vita difficile” se l’avesse scritto Fabio Volo”). Il punto è proprio questo: “L’ultima ruota del carro” è apparso un film ambizioso, che sicuramente piacerà al pubblico, ma che non fa comunque sperare in una sorta di rinascita della commedia all’italiana. Scena migliore? Italia campione del mondo nel 1982, e Ricky Memphis che vorrebbe fare un figlio e chiamarlo Bruno, come Bruno Conti da Nettuno, il Marazico, il numero 7 della Roma di Dino Viola. Ad ogni modo, piazzare il film di Veronesi come apertura ha avuto comunque il suo tornaconto a livello di richiamo del pubblico, e per il bene del Festival dovremmo essere quantomeno contenti. Lo siamo, nonostante tutto? Ma certo.

Altro film di giornata, molto più atteso da chi mastica cinema, è l’esordio in lingua inglese del regista sudcoreano Bong Joon-Ho: “Snowpiercer”, seppur assurdo e a tratti un po’ troppo confuso, è comunque una pellicola originale, ben diretta, accattivante. Tratta da una graphic novel francese, la storia si svolge nel 2030, in un futuro in cui una nuova era glaciale ha praticamente estinto l’umanità. Gli unici sopravvissuti si sono rifugiati su un treno portentoso, dove si è creato un microcosmo della società diviso in classi sociali: i poveri nelle carrozze posteriori, i più ricchi in quelle anteriori. Le condizioni di vita dei meno abbienti porteranno ad una rivoluzione tra i vagoni del treno, che cambierà i destini di tutti. “Snowpiercer” mescola la tragica melodia del cinema asiatico con qualche americanata, ha un vago sapore di deja-vu, ma in fin dei conti piace (e anche questo piacerà al pubblico, e anche tanto, quindi va bene così).

Per concludere la giornata di proiezioni oggi abbiamo dato fiducia al film collettivo cinese “Tales from the dark”, che finalmente ci ha dato l’impressione di trovarci davvero in un Festival: tre episodi di cinema horror (sui fantasmi), roba che non avremmo avuto modo di vedere da nessun’altra parte, e la sorpresa di tre lavori splendidi dal punto di visto estetico (ma è quasi impossibile trovare un film asiatico che pecca in fotografia o composizione dell’immagine, lo sappiamo tutti), anche se un po’ ingenui da quello narrativo. Ma è stata la sorpresa piacevole di oggi, quindi ce la portiamo a casa così com’è, senza starci a lamentare troppo. Non si può dire lo stesso del primo film in concorso presentato alla stampa: il turco “I am not him” di Tayfun Pirselimoglu, prolisso, lento, assurdo nonostante qualche spunto di regia interessante (immagini perlopiù fisse, un po’ alla Mungiu, oltre ad una fotografia da non sottovalutare). Un film che ha messo alla prova la psiche e la pazienza del pubblico, che a fine proiezione non ha comunque rinunciato agli applausi. Faticosissimo, ad ogni modo.

Infine un po’ di colore: abbiamo incrociato John Hurt sul tappeto rosso, il sempre allegro Elio Germano, oltre ad un Antonello Venditti che sembrava essere uscito dal museo delle cere. In sala stampa quest’anno hanno piazzato i Mac, il risultato è stato che gran parte dei giornalisti ha reagito alla novità come Owen Wilson/Hansel davanti al computer della Apple in Zoolander… Adesso è ora della pappa, dopo un pranzo a base di toast e una cena a base di.. nulla. A domani, e per favore qualcuno dica a Muller di spegnere l’aria condizionata in Sala Petrassi, dove sembrava di trovarsi nel mondo ghiacciato di “Snowpiercer”. Il primo giorno è andato. Forza e coraggio.

John Hurt 1

John Hurt 2

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