Vorrei un paio di orecchie nuove, per favore. O quantomeno un paio di timpani di ricambio. Già so che stanotte mi sveglierò nel sonno con le urla delle fan di “Hunger Games” nelle orecchie, il mio incubo peggiore. Stamattina l’accesso alle sale del Festival si è rivelato difficoltoso, per non dire improbabile. Un formicaio di ragazzine ha bloccato ogni accesso, con il risultato che siamo arrivati tutti quasi in ritardo alle proiezioni del mattino. Il peggio doveva ancora arrivare. La conferenza stampa di “Catching Fire”, secondo episodio della saga in questione, è stata una farsa: quasi tutte le domande dei giornalisti riguardavano le sensazioni provate da Jennifer Lawrence nell’indossare questo ruolo e come le è cambiata la vita dopo l’Oscar. A tenere banco, oltre all’attrice, soprattutto il simpatico Josh Hutcherson, che ha messo in ombra persino il suo collega Liam Hemsworth, praticamente una comparsa (sia nel film che alla conferenza stampa). Il red carpet serale è stato una bolgia, per un momento ho pensato di essere morto e di trovarmi all’inferno: ragazzine in lacrime, urla stridule, e in tutto ciò gli attori non si sono neanche fermati per gli autografi di rito (cosa che, nonostante non me ne possa fregà de meno, non ho trovato molto carina).
Al di là di tutto questo rumore oggi è stata una giornata piuttosto positiva dal punto di vista cinematografico: tre film in concorso, uno più interessante dell’altro, tutti e tre da apprezzare. “Take Five” di Guido Lombardi è uno di quei film di genere che in Italia vediamo troppo poco (ma al Festival è già il secondo, contando il bellissimo “Song ‘e Napule” dei Manetti): cinque rapinatori improbabili e disperati trovano il modo di svuotare il caveau di una banca. Il problema è tornare tutti a casa e aspettare il momento giusto per recuperare il bottino, rimasto in un tunnel nelle fogne di Napoli. La Camorra inoltre si mette in mezzo, complicando ancor di più la situazione della banda. Ritmo, bei personaggi, vivacità: il film di Lombardi funziona. Ancora di più funziona il cileno “Volantin Cortao” di Diego Ayala e Anibal Jofré, uno spaccato di vita cilena, tra difficoltà economiche e sociali: i due protagonisti si muovono per la periferia di Santiago come aquiloni tagliati (come da titolo), anime perse, quasi alla deriva. Taglio documentaristico, scene efficaci, protagonisti credibili: il film cileno, nato da un progetto universitario, potrebbe essere l’outsider nella scelta per il miglior film. Infine la giostra di colori firmata da un Takashi Miike votato all’assurdo: il suo “The Mole Song” è difficile da etichettare, sfugge ad ogni regola, è un gangster movie girato con un gusto particolare per il kitsch, che si inabissa nella demenzialità per uscirne poi fuori con la genialità. Raramente ho visto un film così strambo, e raramente forse mi sono così inaspettatamente divertito. Un pessimo agente di polizia, con un grande senso per la giustizia, si infiltra in un clan della Yakuza per impedire il commercio di droga. Follia totale, di cui sogno il seguito (il finale accenna vagamente a questa possibilità). Strepitoso.
Domani gli ultimi film in concorso, “Tir” e “Another Me”, dopodiché sarà il momento di tirare un po’ le somme e azzardare qualche pronostico. Ora tutti a nanna, c’è bisogno di far riposare le orecchie…