Quello argentino è un popolo profondamente ironico e al tempo stesso malinconico: forse è per questo che il loro cinema è così valido, perché in qualche modo riflette lo stato d’animo di un Paese in bilico tra gioie e dolori, tra meraviglie della natura e mostruosità architettoniche: l’urbanistica di Buenos Aires, secondo il regista esordiente Gustavo Taretto, è lo specchio delle difficoltà interpersonali nelle metropoli degli anni 2000. Una città dove stili differenti convivono gomito a gomito, in un caleidoscopico assembramento di palazzi, un’accozzaglia di costruzioni che sembrano trovarsi in un determinato luogo quasi per caso. Tra queste facciate, ci sono le cosiddette “medianeras”: i muri laterali, senza finestre, che rendono ancora più costipate e claustrofobiche le abitazioni della città. In due di questi palazzi, sulla infinita Avenida Santa Fe, vivono Martin e Mariana.
Martin è un web designer, vive davanti al pc sia per lavoro che per diletto, tranne quando esce per portare a spasso il suo cagnolino, eredità di una relazione finita male. Mariana ha una laurea in architettura, ma di fatto vive allestendo i manichini per le vetrine di un negozio. Entrambi vivono le loro esistenze alla ricerca di qualcosa, saltando da una relazione occasionale all’altra, per riempire gli spazi, i vuoti, per non sentirsi soli. Le loro vite si sfiorano più volte, agli incroci, nei negozi, in piscina, per strada, senza mai davvero trovarsi.
Taretto è bravo nel raccontare, con sensibilità e ironia, uno dei mali più grandi di questo nuovo millennio: l’incapacità di comunicare e di relazionarsi in un mondo perennemente connesso, in cui tutti siamo a portata di click da qualunque altro individuo. Un mondo in cui la paura di rimanere soli e la conseguente incapacità nel restarci, sono il motivo di un disagio costante, di una pressione continua sulle spalle di una generazione già afflitta da crisi, precariato, paura di non farcela. Martin e Mariana sono due anime malate, fobiche, sole, ancora capaci di commuoversi davanti al finale di un vecchio film (“Manhattan” di Woody Allen, dove la giovane Tracy suggerisce che “bisogna aver fiducia negli esseri umani”). Martin e Mariana non sono così diversi dai nostri amici, dai nostri vicini di casa, probabilmente da noi stessi. Il messaggio che riceviamo è proprio questo: aprire una finestra sulla vita e lasciar entrare un po’ di luce…
Mi sembra un ottimo consiglio
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