Dopo l’estate si torna alle cose di sempre. Si torna al cinema e, di conseguenza, si torna anche a scrivere di cinema. Non è facile parlare di film due giorni dopo un terremoto devastante, non è facile parlare di qualsiasi cosa, ci sarebbe solo bisogno di silenzio. La pubblicazione di questo capitolo poteva essere rimandata, ma così non sarà, perché almeno il cinema è una distrazione sana, un modo per allontanarsi un paio d’ore dalla brutalità del mondo reale e dalle sciocchezze dei tanti analfabeti funzionali che sputano sentenze dietro le tastiere dei pc.
Ghostbusters (2016): Premetto che il film originale lo so a memoria e che la sua locandina campeggia allegramente sul muro della mia stanza. Detto ciò, penso di avere la giusta qualifica per parlare benino di questo remake senza essere massacrato: i paragoni, ovviamente, non si possono proprio fare, e per questo non li facciamo, ma se si prende questo prodotto così com’è, beh, non è proprio così brutto come crede chi non l’ha neanche visto. C’è un po’ di diffidenza all’inizio, è chiaro, ma piano piano si fa un po’ più convincente. La cosa più bella è il concerto metal, la cosa più brutta è l’invadenza forzata di Hemsworth. Il passato viene omaggiato e rispettato, credo: i camei sono bellissimi. Ci può stare.
La notte del giudizio – Election Year (2016): Ultimo (?) capitolo di una saga basata su un’idea molto interessante, che ringrazio per avermi salvato per tre serate nelle ultime tre estati. Diciamolo, fosse uscito a febbraio non ci avremmo neanche fatto caso, ma come film estivo, quando si sente quel bisogno totale di vedere qualcosa in sala, funziona eccome. Interessante il tema delle imminenti elezioni presidenziali, che vede contrapposti una donna e un pazzo furioso: ricorda qualcosa?
Ma Loute (2016): Amo il cinema francese, si sa, ma l’ultima fatica di Bruno Dumont non mi ha convinto del tutto. Il film di per sé non è male, ma i personaggi (che cast!) sono tutti esageratamente (e volutamente) sopra le righe, e alla fine tutto questo è un po’ stancante. Una nota di merito per Didier Despres: sarà anche grazie alla voce del doppiatore di Peter Griffin (Mino Caprio), ma il suo commissario Machin è grandioso.
1001 Grammi (2014): Il cinema norvegese ha le sue chicche, e il regista Bent Hamer è sicuramente uno dei suoi fiori all’occhiello. Questo suo nuovo film, arrivato in Italia con due anni di ritardo, è senza dubbio ben realizzato, tenero, ma purtroppo è un po’ troppo “misurato” (scusate il gioco di parole): poteva osare un po’ di più, poteva lasciarsi andare, invece sembra sempre un po’ trattenuto, come se non volesse infrangere la flemma della messa in scena. Il suo messaggio però è limpido e davvero ben raccontato: abbiamo tutti bisogno di un po’ di caos per ricominciare a vivere.
The Witch (2015): Se ne parlava come l’horror dell’anno, cosa che mi ha incuriosito, poi il passaggio al Sundance Festival mi ha finalmente convinto a correre al cinema al primo giorno di programmazione. Bel film? Senza dubbio. Realistico fino in fondo, tecnicamente ineccepibile ma… Anche qui c’è un “ma”: è troppo freddo. Troppo freddo. Mi ha lasciato distante dalla sorte dei personaggi, non mi interessava sapere del loro destino e quando il film abbandona l’angoscia e il sospetto per trasformarsi in un horror più classico non funziona del tutto. Tuttavia il finale è molto interessante. Occasione mancata.
Tutti dicono I Love You (1996): Forse il miglior film di Woody Allen degli ultimi vent’anni. Il cast è immenso, le location sono perfette e molte scene sono memorabili: il siparietto dei fantasmi pieni di voglia di vivere, il figlio che diventa repubblicano a causa di mancanza di ossigeno nel cervello, Woody che conquista Julia Roberts con le informazioni ottenute durante le sue sedute psicoanalitiche e tantissime altre: “Io non ho mai creduto in Dio, nemmeno quando ero piccolo, pensavo: anche se dovesse esistere, ha lavorato talmente male che mi meraviglio che la gente non si coalizzi tutta e non lo trascini in tribunale”. Splendido.
Napoleon Dynamite (2004): Il film di Jared Hess ambisce alla leggerezza indie, ai film del primo Wes Anderson, di Noah Baumbach o Alexander Payne, ma risulta semplicemente strambo e poco più. Si salva la scena della danza funk davanti a tutta la scuola, il resto è piuttosto dimenticabile.
The Invitation (2015): Un thriller psicologico molto interessante, che in Italia, va’ a capire il perché, è uscito solo in home video e non al cinema. Una coppia di sposi, due anni dopo aver perso totalmente i contatti con i suoi amici più cari, invita tutto il gruppo di una volta (compreso l’ex marito di lei) nella loro villa sulle colline di Hollywood. I due però si comportano in maniera piuttosto stramba… Il seguito è da scoprire. Una sorta di “Perfetti Sconosciuti” in salsa horror? Il film della brava Karyn Kusama trasmette una continua sensazione di disagio e per molto tempo non capisci se è solo paranoia o realtà, un po’ come in “Rosemary’s Baby” di Polanski. L’ultimo fotogramma poi lascia davvero a bocca aperta. Da recuperare, e occhio a quando andate a cena da amici che non vedete da un po’…