Recensione “It” (2017)

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Ma quanto lo abbiamo aspettato questo film? Noi che nel 1990 eravamo bambini, noi che non abbiamo dormito per colpa di Pennywise, noi che siamo stati costretti per tutta la vita a mantenere le distanze dai clown e dai palloncini rossi. E poi noi che, una volta cresciuti magari abbiamo deciso di affrontare il libro. Noi che lo abbiamo amato. Noi che avevamo bisogno di una vera trasposizione di “It” per il cinema. Quel giorno è arrivato: Pennywise è finalmente qui, nei cinema di tutto il Paese, pronto a rovinare i sonni di tanti ragazzini che oggi hanno l’età che avevamo noi ventisette anni fa…

Estate 1988. Nella cittadina di Derry molti bambini stanno sparendo nel nulla. Un gruppo di outsider, i cosiddetti “perdenti”, si mette sulle tracce dell’assassino, il mostruoso pagliaccio Pennywise, che si sveglia ogni 27 anni per nutrirsi delle paure (e della carne) dei bambini. Tra bulli pericolosi e genitori problematici, i sette ragazzi dovranno fronteggiare tutte le loro paure e, insieme, affrontare il mostro.

Allora? Com’è questo “It”? Riuscito, senza dubbio. Forse resterà deluso chi si aspettava un horror nel vero senso della parola, perché questo film è soprattutto un’avventura. L’avventura di un gruppo di ragazzini che amano stare insieme, che insieme affrontano le loro paure più grandi e, sempre insieme, crescono. Una storia di formazione puntellata da palloncini rossi e da qualche spavento. Andres Muschietti ha studiato bene il romanzo di Stephen King e sembra conoscere bene l’immaginario degli anni 80: questo film è un po’ figlio dell’effetto nostalgia scatenato lo scorso anno da “Stranger Things”, che a sua volta è figlio del romanzo di Stephen King. Dopo tanti decenni di astinenza, è bellissimo ritrovare questi film con un gruppo di ragazzini in bicicletta, pronti a vivere l’estate più lunga ed indimenticabile delle loro vite. Il clown in tutto ciò si erge ad antagonista perfetto, anche se imperfetto nel suo “non essere” Tim Curry (concedetemi questo momento di nostalgica evidenza). Pennywise, che nella storia è un mostro assassino, a livello simbolico può rappresentare la paura di diventare grandi, il bisogno di liberarsi da genitori violenti oppure opprimenti, di scrollarsi di dosso la malinconica solitudine adolescenziale, l’irrazionale terrore per il cambiamento che trova rifugio nell’amicizia, talvolta nell’amore. E così ci abbandoniamo anche noi, ultra-trentenni fin troppo cresciuti, seduti per un paio d’ore a rivivere quella magica età dove tutto sembrava enorme, spaventoso e, probabilmente, bellissimo.

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4 commenti Aggiungi il tuo

  1. filippomariafabbri ha detto:

    È un piacere leggerti e leggere questa recensione. Da amante di King temevo un po’ questa versione (che devo ancora vedere). C’era il timore in effetti di perdere quel senso di avventura e di crescita, così presente anche in Stand by me, in (s)favore dell’horror e dello splatter. Buona giornata

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  2. Pendolante ha detto:

    La stessa avventura che troviamo in Stand by me, gli stessi perdenti uniti in gruppo di ragazzi in crescita che scoprono la forza del gruppo contro i bulli, ragazzi o clown che siano

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    1. AlessioT ha detto:

      Sono d’accordo, è stata un’ottima idea quella di incentrare il film sul passaggio all’adolescenza

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  3. Paolone Tortorici ha detto:

    A me il film non è piaciuto più di tanto.
    Puzza di stantio, pochissimo spazio ad un gran pagliaccio (non è Tim Curry ma merita comunque) con poche battute e una mise troppo “posticcia” e la chicca finale del bacio alla bella addormentata nel bosco.
    Perde 6/0 6/0 il confronto con quello vecchio (e al cinema mi hanno tolto 9virgola5 euri)

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