Recensione “La Ruota delle Meraviglie” (“Wonder Wheel”, 2017)

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Inutile nasconderlo, appena vedo quella enorme ruota panoramica con la scritta “Wonder Wheel” non riesco proprio a non pensare a “I guerrieri della notte” di Walter Hill. Sono stati loro a rendere Coney Island un luogo mitico, un porto sicuro, un luogo da raggiungere per ritrovare la pace. Loro sono il motivo per cui qualche anno fa mi imbarcai in una lunga trasferta da Manhattan fino in fondo a Brooklyn, dove per la prima volta incontrai le onde dell’oceano (mentre cercavo di toccarlo, le onde mi inzupparono le scarpe, ma questa è un’altra storia). Era la prima volta che vedevo Coney Island, ed anche se era marzo e non c’era nessuno, si poteva respirare nell’aria un’atmosfera densa, potente, piena di storie da raccontare e di vita frenetica. Woody Allen ora contribuisce ad arricchire la storia di questo mitologico lido balneare, costruendo un film che, nonostante si svolga all’interno di una cornice festosa e piena di gioia come quella di un parco divertimenti, è in realtà il racconto cupo di un fallimento sentimentale e professionale, il bisogno di essere salvati, la ricerca di una redenzione che possa portare al tanto agognato riscatto. Ma quando il buon vecchio Woody decide che la vita deve andare male, non ci dà scampo: non c’è gratificazione per lo spettatore, c’è soltanto una normalità che, al di là dei colori che provi a metterci dentro, resta grigia perché altro non può essere.

Ginny è un’ex attrice lunatica e profondamente triste, vive di rimpianti a causa del fallimento del suo primo matrimonio e adesso lavora come cameriera a Coney Island. Il suo nuovo marito, Humpty, è rozzo e ha problemi con la bottiglia, ma ha una giostra tutta sua e il cuore grande. Ginny però non lo ama e preferisce buttarsi tra le braccia di un bagnino con ambizioni letterarie, Mickey, con cui ha una relazione clandestina e con il quale vorrebbe cominciare una nuova vita lontana dal suo fallimento. A rendere la situazione ancora più complicata c’è il figlio di Ginny, Richie, che ama appiccare incendi ovunque e soprattutto Caroline, la graziosa figlia di Humpty, costretta a nascondersi nel loro appartamento per sfuggire ad una banda di gangster che la vuole uccidere.

Non manca il romanticismo ma, così come in “Café Society”, la vita ha altri programmi per i suoi protagonisti. Kate Winslet è talmente brava che dovrebbero inventare un premio appositamente per lei, ma a rubare letteralmente la scena è la fotografia pazzesca di Sua Maestà Vittorio Storaro, che commette l’errore più grave che un direttore della fotografia possa mai fare: la sua luce è talmente incredibile che forse mette il film in secondo piano. Ad ogni modo possiamo confermare che si tratta di un Woody Allen ancora piuttosto ispirato, che stavolta trova terreno fertile nella tragedia classica, aggiornandola alla frenetica Coney Island del secolo scorso dove, seppur circondati da migliaia di persone apparentemente felici, ci si può facilmente sentire soli e tristi.

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