Se questo fosse un magazine serio ed importante, oppure una rivista professionale e obiettiva, si parlerebbe di questo film come di un lavoro ben fatto, romantico ma originale, visionario nelle sue imponenti scenografie e magico in alcune magnifiche scene. Purtroppo o per fortuna è “solo” il mio blog, che vi piaccia o meno, e per questo mi sento libero di confessarvi che il film di Guillermo Del Toro mi ha fatto addormentare. Per carità, la regia è davvero bellissima e ciò che ho scritto nella premessa iniziale non può essere assolutamente negato. Però a me queste favole moderne, originali in superficie ma al tempo stesso un po’ scontate, non piacciono proprio e, anche se quando si parla di cinema non si dovrebbe mai usare questo come metro di giudizio, devo dire che la noia è lo stato che ho provato prevalentemente durante le due ore di film.
Siamo nel 1962, in un laboratorio scientifico di Baltimora gli americani cercano strumenti sempre nuovi per superare i russi nella corsa allo Spazio. Qui vive in cattività una creatura anfibia, un essere indefinibile dotato di emozioni e di una grande sensibilità. Elisa, giovane donna delle pulizie, è muta e si sente schermata dal mondo. Tra queste due anime sole nascerà un affetto forte e potente, che troverà nuovi alleati in un’altra accoppiata di “diversi”: l’illustratore gay, vicino di casa di Elisa, e la collega della ragazza, un’afroamericana in cerca di emancipazione.
Se il film in sé non è riuscito a trovare le mie emozioni, va anche detto che alcune scene – tre in particolare – sono dei piccoli gioielli di cinema: Elisa e la creatura che si ritrovano dentro la sala cinematografica; il sogno “musicale” della ragazza mentre, utilizzando il linguaggio dei segni, canta i suoi sentimenti; il bagno allagato con i due che nuotano abbracciati al suo interno.
“La Sirenetta” incontra “Il Mostro della Laguna Nera”: quando c’è Guillermo Del Toro, tutto è veramente possibile. Nel bene e nel male.