Difficile parlar di “Loro” come di due film separati, eppure le differenze ci sono e sembrano esser anche piuttosto nette. Se nel primo il trenino delle apparenze e dell’effimero potere partiva e si lasciava andare senza soluzione di continuità, questo secondo film conferma la celebre frase di Jep Gambardella: “Sono belli i trenini che facciamo alle nostre feste, sono belli perché non vanno da nessuna parte”. Sorrentino racconta dunque la storia di un venditore, di un abile manipolatore, la cui leggenda collassa intorno a quella stessa immagine che Lui aveva contribuito a creare. Resteranno le macerie, simili a quelle di un’Italia piegata dal terremoto del 2009.
Si continua ad approfondire quindi il lato umano di uno statista ormai rassegnato al ricordo di se stesso: un uomo patetico nel suo tentativo di sentirsi perennemente giovane, patetico nel suo modo di porsi con le donne e con i capi di stato, osservato in silenzio dalla sua bacheca di trofei, spietata nel ricordargli come il successo sia effimero e al tempo stesso pericoloso. Un visionario distrutto dal suo stesso ego, sopraffatto da un complesso di inferiorità che lo costringe ad ostentare, a cercare continuamente il consenso altrui (che sia quello dei senatori o di giovani donne), un uomo malato di potere, ossessionato e innamorato di quel potere che lentamente gli sfugge di mano. Sorrentino stavolta giudica, usando il personaggio di Veronica Lario come la voce di un’Italia stanca di raggiri e sopraffazioni, di buffonerie e, appunto, di quei trenini che non vanno da nessuna parte.
Nel complesso non parliamo di un film memorabile, ma senza dubbio l’accoppiata Sorrentino-Servillo ha il merito di aver raccontato a modo suo il ritratto di un lustro italiano che in qualche modo ci appartiene, che abbiamo subito sulle nostre spalle e che ancora abbiamo difficoltà a dimenticare. Perché Berlusconi non solo voleva essere a capo dell’Italia: voleva anche avere il potere di farla fallire.