Normalmente non ci si aspetta mai molto da un lunedì, ancora meno dai lunedì dei Festival di Cinema, giorno in cui solitamente si abbassano i toni e i livelli dopo un weekend di fuochi d’artificio (almeno nelle intenzioni). E invece Roma cosa ti combina? Ti piazza Martin Scorsese, uno dei più grandi registi viventi, in un tardo pomeriggio di un lunedì autunnale, dove i primi vagiti di freddo si affacciavano a rovinare quell’espressione tanto cara a noi romani: le ottobrate di cui andiamo fieri. Quel che è successo effettivamente oggi è stato addirittura meglio di un film, sembrava più l’incipit di un racconto di Ballard o la trama di un classico di Sam Peckinpah. Un pomeriggio di risse sfiorate, parole forti, scene di paura e delirio nel foyer della Sala Sinopoli. Ma andiamo con ordine.
In mattinata ho visto il buonissimo “The Hate U Give”, un dramma incentrato su una famiglia di afro-americani: la figlia (Amandla Stenberg, attrice bravissima e mamma mia che bella!), nonostante sia cresciuta in un quartiere nero che è una sorta di ghetto gestito dalla mala, va a scuola in un liceo di bianchi ricchi, dove mostra una personalità totalmente diversa, nascondendo a tutti di essere “semplicemente” una ragazza del ghetto afro. Una sera però è testimone dell’uccisione del suo migliore amico da parte di un poliziotto, da qui il conflitto interiore (e non solo) che avvolgerà la ragazza per tutto il resto del film: tacere per non calpestare i piedi al boss della mala locale e soprattutto per non rivelare la verità ai suoi compagni di scuola oppure parlare, testimoniare e così finire al centro di un ciclone mediatico che potrebbe costarle il futuro? La storia funziona, coinvolge a sufficienza e viene forse penalizzata da un finale un po’ troppo xxxxxx (non aggiungo aggettivi per non rovinarvi la visione, ad ogni modo è davvero un po’ troppo xxxxxx). La cosa che mi ha fatto riflettere è che il povero ragazzo ucciso all’inizio del film viene fermato dalla polizia perché è partito senza mettere la freccia: se a Roma funzionasse allo stesso modo avremmo migliaia di automobili fermate in mezzo ad ogni strada (tranne la mia, perché sono forse l’unico in tutta Roma a usare ancora le frecce: scusate ma questo è un mio vanto).
Detto ciò, dopo aver pranzato, bevuto un caffè fondamentale e ricaricato le pile, io e i miei fidi compagni di battaglia ci siamo messi di santa pazienza in fila per entrare all’incontro con Scorsese delle 19. Erano le 16 e sarebbero state 3 ore di fuoco. Una premessa è doverosa: per tutte le proiezioni o gli incontri aperti al pubblico c’è una fila (la Rush Line) dove gli accreditati sono in coda fino a quando il pubblico pagante non è entrato in sala. Una volta entrati i possessori dei biglietti, il resto della sala viene riempito, in ordine di fila, da chi è là con il pass. Per i film normalmente basta fare una decina di minuti di coda per entrare, ma per incontri di alto livello ci si deve mettere in fila almeno due o tre ore prima (lo scorso anno per David Lynch stesso discorso, ad esempio). Finita la premessa, ribadisco che eravamo in Rush Line ben tre ore prima dell’evento, sicurissimi di entrare. Cominciano però a girare voci incontrollate: “Entreranno solo i primi 100!”, “Ci sono quelli che si sono messi in fila alle 8 del mattino che hanno fatto la lista con i numeretti!” (???), “Ha segnato anche Zoff di testa su calcio d’angolo!”. Bene, la faccenda numeretti è diventata ben presto un motivo di astio: in 13 edizioni di Festa questa cosa non era mai successa: alcuni ragazzetti si sono praticamente scritti a penna un numero sul dorso della mano, millantando di essere in fila dalla mattina. Il problema è che molti di questi durante la giornata si sono allontanati più volte dalla fila (delitto!), presentandosi a piacimento poco prima dell’inizio dell’evento, avanzando addirittura pretese di priorità acquisita nei confronti di chi in fila si trovava da 3 ore senza essersi mosso di un centimetro. La cosa ovviamente è degenerata. Uno di questi 88 folli, un ragazzotto con il pass verde (ce ne sono di due colori diversi, i gialli per la stampa e i verdi per gli appassionati, i cosiddetti “cultural”), senza alcun titolo né autorità, è venuto a dire a chi stava un po’ più dietro in fila che doveva andarsene per “motivi di ordine pubblico” (!!!!!!), visto che tanto non sarebbe riuscito ad entrare. Le frasi che ho sentito dopo questa affermazione fatta da un signor nessuno, ribattezzato Sandokan, non sarebbero ripetibili, ma per rendervi l’idea della situazione ne riporterò un paio: “Guarda, a me non me ne frega un cazzo di quello che dici tu”, o ancora “Scusa ma tu chi cazzo sei? A quale titolo mi vieni a dire che c’è un problema di ordine pubblico e che me ne devo andare?”. Insomma, i toni erano piuttosto concitati e, inutile dirlo, la cosa era talmente surreale da divertirmi più di quanto sarei disposto ad ammettere. In tutto ciò, mentre si avvicinava l’orario fatidico dell’apertura ai possessori del pass, i classici furbacchioni che tentavano di saltare la fila cercando di inserirsi davanti sono stati puntualmente allontanati da una serie di insulti e improperi lanciati da chi stava in coda (questi no, non li ripeterò). Doveva però ancora arrivare il genio della serata, quello che alle 19.10 arriva dal nulla e salta la fila a piè pari dicendo che ha il numero scritto sul polso e che deve entrare prima di tutti (!). Per dovere di cronaca e per rendere il racconto il più vicino possibile alla realtà, vi riporto un paio di cose che gli sono state dette, scusandomi per i francesismi: “Io mo me scrivo sulla mano – 8 ed entro prima di tutti!”, ma soprattutto: “A me non me ne frega un cazzo se hai il numero sulla mano, ti puoi pure scrive ‘na frase de Shakespeare in fronte, ma noi stiamo in fila da tre ore e tu prima de noi non entri!”. La morale della favola? La sala si è riempita poco prima che io e i miei fidi compagni di coda riuscissimo ad entrare: è stato un peccato perché mancava davvero poco (ed è la prima volta nella storia di questo Festival che 3 ore di fila non bastano per entrare ad un evento). La consolazione è che non è entrato neanche il genio del numeretto che si è presentato alle 19.10. No, la vera consolazione, diciamo così, è che Scorsese non ha fatto il minimo accenno al suo cinema: durante l’incontro ha parlato solo ed esclusivamente del cinema italiano che vedeva da giovane, cosa che si può trovare facilmente in tantissimi libri e articoli scritti sul regista newyorkese. Certo, sarebbe stato bello sentire Scorsese parlare di cinema italiano, ma sapere che non ha parlato della sua carriera, dei suoi film, della sua storia… beh, mi ha sollevato molto. Nel finale Martin è stato premiato da Paolo Taviani, ed è stato bello vedere due mostri sacri del Cinema che si emozionano insieme (potete trovare il video con questa bellissima scena sulla mia pagina Facebook).
Domani per motivi di lavoro non sarò al Festival, ma da quel che ho visto ci sarà davvero poco, quindi non credo di perdermi niente (a parte le 4 ore di “C’era una volta in America” restaurate e proiettate su grande schermo!). Tuttavia in serata troverete comunque un resoconto con ciò che è accaduto durante la giornata, voci di corridoio, tweet volanti, commenti più o meno affidabili. Insomma non so, ma qualcosa la troverete, ve lo prometto. Buonanotte.