Festa del Cinema di Roma – Giorno 4

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Mi piacerebbe raccontarvi cose strabilianti, la verità è che oggi però ho visto soltanto un film, ma non è stata colpa mia. Davvero, sono sincero: è finita la benzina. Si è bucato un pneumatico. Non avevo i soldi per il taxi! Il mio smoking non è arrivato in tempo dalla tintoria! È venuto a trovarmi da lontano un amico che non vedevo da anni! Qualcuno mi ha rubato la macchina! C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Un’invasione di cavallette! Va bene. Basta citazioni. Arriva il racconto.

Dovete sapere che ogni mattina, alle 9 e alle 11, ci sono due proiezioni per la stampa in ogni fascia oraria (dunque almeno 4 film a mattina). La scelta può rivelarsi fondamentale, perché sbagliare film è un delitto, ancor di più se il film scartato si rivela invece qualcosa di imperdibile: poi recuperarlo è un bel paio di maniche visto che ti costringe a restare alla Festa almeno fino alle 22 (un po’ come ho fatto ieri, consapevolmente, per vedere “Fahrenheit 11/9” la sera, visto che la mattina avevo preferito vedere altro). Questo preambolo soltanto per dirvi che questa mattina alle 9, tra Barry Jenkins e Thomas Vinterberg, ho preferito il letto. Il motivo è semplice: Jenkins, dopo il sopravvalutato “Moonlight” (anch’esso visto alla Festa del Cinema), l’ho già inquadrato. Il suo è un cinema pieno di retorica, con troppa carne al fuoco e troppo dolore, leggere la trama mi ha decisamente scoraggiato: ma perché dovevo alzarmi alle 7 di domenica mattina per vedere un film che già mi sembra di aver messo a fuoco? Probabilmente lo recupererò in settimana, a tempo perso, anche solo per giustificare ed eventualmente confermare queste mie parole (anche perché, dai primi commenti che ho sentito fuori dalla sala, sembra proprio il film che temevo, che però farà incetta di candidature agli Oscar perché si sa come vanno certe cose). Ad ogni modo penso che si sia capito: non sono un fan di Barry Jenkins (l’Oscar rubato a “La La Land” è una ferita ancora aperta). Oggi il regista era a Roma e sarebbe stato interessante ascoltarlo in conferenza stampa, anche solo per capire il motivo per cui fa film così retorici (ad esempio mi hanno detto che in questo, che si intitola “If Beale Street Could Talk”, ci sono montagne di scene al rallentatore, che come sapete è una delle tecniche cinematografiche più abusate e più banali per creare un po’ di pathos, soprattutto per quei registi che non riescono a crearlo in altro modo). Niente, so che sono un po’ troppo critico nei confronti di un film che non ho visto, quindi passo oltre, anche perché se poi dovesse piacermi non ci farei una bella figura.

L’altro film scartato alle 9 era “Kursk” di Thomas Vinterberg, regista danese celebre per aver contribuito al manifesto Dogma 95 e soprattutto per il celebre “Festen”. Da quel che ho sentito è un buon film, un po’ troppo commerciale, incentrato sul disastro del sottomarino russo Kursk nel 2000. Lea Seydoux e Colin Firth erano sicuramente un incentivo per alzarsi dal letto e mettersi in marcia verso l’Auditorium, ma la storia non mi è sembrata così interessante da giustificare una sveglia alle 7. Anche in questo caso ho messo una barra sul titolo e il cuore in pace (anche se è un film che in fin dei conti avrei visto abbastanza volentieri).

Arriviamo così alle 11 e soprattutto arriviamo a parlare di un film che ho visto! “Beautiful Boy” di Felix Van Groeningen ruba il titolo ad una canzone di John Lennon e racconta la storia di un giornalista alle prese con un figlio tossico-dipendente. Il fatto che padre e figlio siano Steve Carell e Timothée Chalamet alza senza dubbio l’asticella di un film non proprio facile da digerire, con alcuni momenti sicuramente di ottimo cinema, ma anche con qualche lungaggine di troppo: in linea di massima direi che è un buon film, ma non muoio dalla voglia di rivederlo e neanche di consigliarlo. Del regista belga avevo amato molto “Alabama Monroe” e pochissimo “Belgica”: stavolta si piazza nel mezzo con un film bello a tratti, ma senza dubbio intenso e interpretato divinamente (Carell è davvero un attore straordinario e Chalamet è ormai molto più che una promessa).

Per il resto non mi sembra di essermi perso niente di fondamentale, una delle cose di cui sento parlare meglio è “Measure of a man” di Jim Loach, figlio del grande Ken, che è stato proiettato all’interno della programmazione di “Alice nella Città”. Purtroppo non credo che avrò modo di recuperarlo nei prossimi giorni, ma non si sa mai. Domani invece è un giorno importante: tra una cosa e l’altra non so se riuscirò a vedere film (forse uno alle 11? Il mio lavoro vero purtroppo o per fortuna mi limita), ma senza dubbio riuscirò a vedere lui, Martin Scorsese. Domani sera avrò sicuramente qualcosa di cui parlarvi.

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