
Se cercate una serie da vedere tutta d’un fiato, coinvolgente e al tempo stesso rapida, “Homecoming” è la risposta. Dieci episodi, ciascuno di circa trenta minuti, senza alcuna sotto-trama riempitiva, tutti ricchi di tensione e, nonostante il ritmo compassato, pieni di contenuti. La serie creata da Eli Horowitz e Micah Bloomberg potrebbe essere un buon oggetto di studio per una scuola di sceneggiatura: sin da subito viene mostrata un’indagine a proposito di qualcosa che è successo, che però sarà rivelato solo nel finale, fornendoci puntata dopo puntata qualche elemento in più per assemblare il puzzle finale.
La struttura Homecoming ospita soldati appena rientrati dalla guerra per aiutarli ad abituarsi nuovamente alla vita civile, attraverso sedute di terapia ed esperienze che possano rendere la transizione meno traumatica. Qualcosa però non è andata come ci si aspettava e viene aperta un’indagine su due soggetti in particolare: l’ex-soldato Walter Cruz e la terapeuta, Heidi Bergman.
L’alternanza tra passato e presente, ben sottolineata anche dal cambio di aspect ratio dello schermo, collabora all’incedere della storia, procedendo da due direzioni opposte verso lo stesso obiettivo: raccontare cos’è successo. Ovviamente non posso dire di più per non guastarvi l’esperienza, basti dire che è una serie che tiene davvero incollati allo schermo, grazie anche all’eccellente esordio di Julia Roberts sul piccolo schermo, al carisma di Bobby Cannavale, che al contrario è ormai un habitué (quanto ci manca il suo Richie Finestra di “Vinyl”!) e al bellissimo personaggio di Thomas Carrasco, interpretato da Shea Whingham. Senza dubbio una delle migliori cose viste in tv in questo 2018.
PS: Occhio ai titoli di coda dell’ultima puntata, c’è una piccola sorpresa che vi aspetta.
