Recensione “Bombshell” (2019)

Nel 2016, mentre Donald Trump è nel pieno della sua cavalcata verso la Casa Bianca, la giornalista televisiva Megyn Kelly si ritrova ad essere insultata sui tweet del futuro presidente degli Stati Uniti. Nonostante la sua rete, la Fox, sia dichiaratamente filo-repubblicana, Megyn, giornalista di punta del network, decide di affrontare Trump con una semplice domanda: “Trump ha un problema con una donna, voglio chiederglielo”. “Bombshell”, il nuovo film di un irriconoscibile Jay Roach (passato da “Austin Powers” e “Ti presento i miei” ad un cinema più impegnato e di denuncia, come “L’ultima parola”), parte con quello che sembrerebbe un conflitto tra la Kelly donna e la Kelly fedele al suo network. In realtà, il trascinante femminismo di partenza serve soltanto a scaldare i motori per quello che sarà un film sui primi vagiti del movimento “Me too”, che farà tremare le fondamenta di uno degli imperi televisivi più importanti del mondo.

In questo contesto si muove un’altra star della tv, ormai relegata in un orario di ripiego prima del suo licenziamento: Gretchen Carlson. Una volta licenziata, la giornalista trova il coraggio e la determinazione di accusare il suo ex capo Roger Ailes di molestie sessuali. Il polverone che si scatena lo conosciamo anche noi, impossibile non ricordare l’esplosione di un movimento che darà coraggio a migliaia di voci fino a quel momento silenziose. Tra personaggi reali e storia vera si inserisce la Kayla di Margot Robbie, una fan della Fox che spera di realizzare il suo sogno americano, con gli occhi perennemente spalancati e tanti sogni racchiusi nel badge che porta perennemente al collo. Il suo personaggio è il simbolo immaginario di tutte le donne che sono state vittima di Ailes ed è nel momento in cui la vediamo entrare nell’ufficio del boss che il film ci lascia intendere la svolta che prenderà e che porterà avanti sino al termine.

Tre donne diversissime tra loro, unite da un personaggio viscido e spaventoso. Dietro alle tre ottime protagoniste (Charlize Theron, Nicole Kidman e Margot Robbie) si muove comunque un cast eccellente, che dà forma e sostanza ad alcune sotto trame interessantissime: dal marito di Magyn, Mark Duplass, al boss dei boss (Rupert Murdoch!) Malcolm McDowell, ma su tutti Kate McKinnon, nel film collega e amica di Margot Robbie, che ruba la scena nella parte di una donna gay e di sinistra, rimasta intrappolata in un lavoro che rappresenta l’esatto opposto di ciò che lei è in realtà, un personaggio che quasi farebbe venir voglia di guardare un film a parte. Per un pubblico italiano potrebbe sembrare complicato capire alcune dinamiche che negli USA sono date praticamente per scontate, come il peso politico del network Fox e la sua identità all’interno del panorama culturale statunitense, ma Roach è comunque bravo a mettere sottotraccia il lavoro e l’influenza della rete anche e soprattutto durante la campagna presidenziale del 2016. Un film molto bello, a tratti ironico e beffardo, ma ben determinato ad andare avanti fino al nocciolo della storia: il potere di una società patriarcale e conservatrice e il valore della donna all’interno di essa.

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