
Con l’arrivo di luglio arriva tutto ciò che ci si può aspettare da questo mese, almeno per me: mare, panzerotti, niente wifi, il tutto riassumibile sotto la dicitura “Monopoli”, sede estiva del sottoscritto nonché ritiro spirituale in vista di una nuova stagione romana ricca di impegni, nascite, stress e tutto ciò che comporta vivere in una grande città, purtroppo o per fortuna una delle più belle del mondo. Ma non è di questo che volete leggere, credo, quindi andiamo ad approfondire questo nuovo capitolo della mia vita da cinefilo, dove troviamo gli ultimi film della stagione romana e i primi della mia estate pugliese, molti dei quali in bianco e nero. Tra l’altro nei giorni precedenti alla partenza ho chiesto sui canali social affiliati al blog (cioè Facebook, Twitter e Instagram) qualche consiglio di film vecchi che avrei dovuto recuperare e ciò che ne è uscito fuori è un’ottima lista di titoli, che faranno parte delle mie visioni estive. Che lettori che ho! Per il resto ho deciso di aggiungere, come già faccio sui suddetti social per quanto riguarda i film visti, le pallette con il voto al film, con un giudizio che va da 1 (inguardabile) a 5 (capolavoro supremo).
I Sette Samurai (1954): Nel 1954 Akira Kurosawa, dopo aver adattato L’idiota di Dostoevskij e girato Vivere, torna a raccontare l’epoca buia del medioevo giapponese realizzando il film per cui è conosciuto in tutto il mondo, quello che senza cadere in errore è obbligatorio etichettare come il suo capolavoro. La storia è risaputa: un villaggio di poveri contadini sta per essere assaltato da una banda di briganti, per questo si decide di ingaggiare alcuni ronin per difendere i loro raccolti. 3 ore e 10 minuti (scene tagliate incluse) di avventura epica, fratellanza, giustizia, ma anche profonda malinconia. Il migliore in campo, ovviamente, è la star Toshiro Mifune. Film immenso, lo trovate su Prime Video.
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L’Ultima Notte di Amore (2023): Una delle grandi sorprese dell’anno per quanto riguarda il cinema italiano. Diretto da Andrea Di Stefano (attore dalla lunga carriera, formatosi al mitico Actors Studio di New York), si tratta di un noir/poliziesco metropolitano con il solito eccezionale Pierfrancesco Favino. Qui il nostro è un agente di polizia il quale, durante la sua ultima notte in servizio prima della meritatissima pensione, deve indagare sull’uccisione di un suo collega in circostanze decisamente compromettenti. Il film gioca sul flashback per ricostruire una vicenda scritta benissimo, per un film di genere che si è reso protagonista di un ottimo passaparola. Nonostante l’abbia visto nel peggior cinema di Roma (l’unico che ancora lo programmava), dove lo schermo si è spento per ben due volte durante la proiezione, di cui tra l’altro ero l’unico spettatore, sono riuscito a non staccarmi mai dalla storia, grazie anche ad una Milano notturna decisamente perfetta come ambientazione del film. Splendida sorpresa.
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Detachment (2011): Quarto e, al momento in cui scrivo, ultimo film di Tony Kaye, regista divenuto celebre grazie al suo fulminante film d’esordio, American History X. In quest’opera dal profondo respiro indie, Adrien Brody è un supplente che passerà un mese in un liceo piuttosto difficile di Long Island. In questo periodo avrà a che fare con due ragazze, una prostituta che vorrebbe togliere dalla strada e una studentessa talentuosa ma isolata a causa della sua obesità, che segneranno profondamente la vita del professore. L’ottimo cast, che vede oltre a Brody anche la presenza di Lucy Liu, Christina Hendricks, Marcia Gay Harden, Bryan Cranston e James Caan, fa la differenza in un’opera dal cuore grande che però si perde un po’ nella sua profonda disperazione. C’è ispirazione però, ma soprattutto tanta passione e tutto questo, senza dubbio, arriva allo spettatore. Lo trovate su Mubi.
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The Party (2017): Black comedy dall’ampio respiro teatrale (si svolge interamente in un unico ambiente), il film della londinese Sally Potter è un ottimo drink da bersi tutto d’un fiato (dura soltanto 70 minuti). Kristin Scott Thomas è appena passata dall’opposizione al prestigioso ruolo di Ministro della Salute e riceve a casa sua alcuni amici intimi per una piccola celebrazione. Oltre a suo marito Timothy Spall, prenderanno parte alla vicenda anche Emily Mortimer, Cillian Murphy, Patricia Clarkson, Bruno Ganz e Cherry Jones. Ovviamente dalla serata emergeranno alcune verità nascoste che cambieranno totalmente l’umore degli astanti e gli equilibri in gioco. Non dirò una parola per non rovinarvi la sorpresa, ma è senz’altro un film da vedere: breve, divertente, tagliente, con un finale che lascia di stucco lo spettatore. Tanti applausi alla Berlinale 2017 e alla Festa del Cinema di Roma dello stesso anno. Anche questo lo trovate su Mubi.
•••½
Mixed by Erry (2023): Come capita ormai spesso con i film di Netflix, è inevitabile pensare all’ennesima occasione sprecata. Sidney Sibilia, che dopo i vari capitoli di Smetto Quando Voglio insiste nel voler raccontare l’arte di arrangiarsi di un gruppo di simpatici protagonisti, stavolta rovista nei risvolti di una storia realmente accaduta, quella del primo contraffattore di musica (leggasi “pirata”) della storia italiana: Enrico Frattasio, che con l’aiuto dei suoi due fratelli è stato in grado di costruire un impero, oltre che una vera e propria etichetta di “falsi originali”, duplicando migliaia di musicassette tra gli anni 70 e i 90. La storia è senza dubbio simpatica, ma il film probabilmente fallisce il bersaglio, prima di tutto velocizzando in maniera decisamente esagerata l’ascesa dei Frattasio (cinque minuti “cinematografici” dopo aver registrato la prima cassetta stavano già guadagnando decine di milioni di lire), quindi concentrandosi esclusivamente sulla grandezza della loro attività, lasciando in secondo piano l’interessante missione di Enrico, quella accennata dalla frase: “Non l’ho mai fatto per i soldi”. E per cosa allora? Lo possiamo intuire, ma sarebbe stato bellissimo approfondire questo aspetto del personaggio, quello legato alla condivisione di una passione, di un vero e proprio amore. Film piacevole da guardare, ma il giorno dopo ti rendi conto che non ti ha lasciato niente. Peccato, si poteva fare di più.
••½
Lo Sconosciuto del Terzo Piano (1940): La mia personale rassegna di grandi classici da vedere in estate comincia con il film d’esordio di Boris Ingster, passato alla storia come il primo film noir di sempre. Nel film già appaiono diversi elementi che in seguito diverranno tratti distintivi del genere: l’ambientazione urbana, la fotografia contrastata (e contraddistinta da pesanti ombre), narrazione fuori campo e prospettive inusuali per il cinema di quel periodo. Un giornalista fa il colpaccio scoprendo il cadavere di un barista e vedendo un uomo fuggire dalla scena del crimine, che sarà giudicato colpevole proprio grazie alla sua testimonianza. Grazie a questo scoop ottiene una promozione e potrà sposare la sua donna, ma nei giorni successivi si ritrova testimone di un altro omicidio, a quanto pare commesso da un misterioso personaggio (Peter Lorre, sempre lui!). Stavolta però le circostanze sono poco chiare e l’uomo rischierà di essere incolpato della morte del suo odioso vicino di casa. Splendido nella creazione delle atmosfere (molti i rimandi all’espressionismo tedesco), seppur decisamente meno audace nella narrazione, Ingster balla su un labile equilibrio tra eccellenza artistica e banalità narrativa, risultando più convincente nella costruzione delle ombre che nella direzione degli attori. Un esperimento acerbo ma interessante, che porterà i suoi frutti negli anni successivi, grazie ad autori di ben altro spessore.
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La Scala a Chiocciola (1946): Robert Siodmak è un altro nome a cui il genere noir deve qualcosa. Paragonato dalla stampa di allora a un certo Alfred Hitchcock, che ai tempi girava film dello stesso tipo (anche se forse era come paragonare Manchester City e Cremonese, se mi concedete questa digressione calcistica), il nome di Siodmak è legato indissolubilmente a questo thriller a metà strada tra horror psicologico e film noir. Una donna muta, impiegata nella villa di una ricca donna ormai costretta a letto, è minacciata dalla presenza nei paraggi di un serial killer che uccide solo donne con disabilità. Se per uno spettatore del XXI° Secolo è piuttosto facile capire sin da subito l’identità del (non tanto) misterioso assassino, molto più interessante è invece la ricerca visiva del regista, il cui cinema è stato spesso identificato come antenato del cinema slasher, soprattutto per il suo modo di mostrare gli omicidi dal punto di vista del killer. Interessantissimo il lavoro sulle inquadrature e soprattutto sulle atmosfere (la suspense è palpabile), è un peccato averlo visto con la testa di un individuo del 2023 e non con quella di un cinefilo del 1946, ma tant’é.
•••½
L’Uomo Che Uccise Liberty Valance (1962): Dopo averci stupito con lo splendore dei suoi colori e con i vasti e iconici paesaggi della Monument Valley, John Ford decide di riscrivere le regole del film western, soprattutto del suo stesso cinema, realizzando uno dei più grandi film sul West, in bianco e nero e su un set che riscostruisce la splendida cittadina di Shinbone. L’importante senatore James Stewart torna nella vecchia città di frontiera dove aveva vissuto venticinque anni prima per assistere al funerale di un suo caro amico. La stampa locale vuole conoscere la storia dell’uomo che lo ha riportato in città e così il senatore racconta la storia di John Wayne, eroe di una città ai tempi ancora legata alle leggi della violenza e soprattutto messa in ginocchio dalle scorribande di Lee Marvin (il Liberty Valance del titolo), che faceva il buono e il cattivo tempo in compagnia di un giovanissimo Lee Van Cliff. John Ford racconta la contrapposizione tra progresso e tradizione, legando le due immagini a due meravigliosi protagonisti, l’idealista Stewart e il cowboy Wayne, due facce della stessa medaglia, che si contenderanno anche l’amore di Vera Miles. Il finale un po’ prevedibile ed eccessivamente tirato per le lunghe forse impedisce al film di rasentare la perfezione, tuttavia è un’opera talmente meravigliosa da renderlo un titolo obbligatorio per qualunque amante del grande cinema.
••••½


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