
Oggi facciamo cifra tonda, quindi, prima di parlare di film e serie tv, andiamo a rivangare un pochino di passato. Prima di essere un blog, Una Vita da Cinefilo era il nome della rubrica periodica che tenevo sul portare Livecity, verso la metà degli anni 2000. In questo speciale, esattamente come faccio ancora oggi, riassumevo in poche righe gli ultimi film visti, che fossero appena usciti al cinema o appartenessero al secolo scorso, tutto, purché fosse cinema. Quando poi nel 2008 ho aperto questo blog con lo scopo di tenere insieme tutti quelli articoli, decisi di dargli proprio il nome della rubrica, che oggi raggiunge il suo capitolo 400, un numero che è anche quello dei celebri colpi di un film che da queste parti ci sta piuttosto a cuore. Ne è passata di acqua sotto i ponti (e ne sono caduti di capelli!), da quel primo capitolo in cui parlavo con passione ed entusiasmo de Il Buio Oltre la Siepe e Rocky. Ora basta con i ricordi però, parliamo di cinema.
September 5 (2024): Come tutti sappiamo, nel 1972, durante i Giochi Olimpici di Monaco un gruppo di guerriglieri ha fatto irruzione nel villaggio olimpico tenendo in ostaggio gli atleti israeliani. Il film dello svizzero Tim Fehlbaum racconta la vicenda dal punto di vista della redazione sportiva della ABC, sul posto per raccontare per la prima volta le Olimpiadi in diretta mondiale: un gruppo di giornalisti abituato a raccontare vicende di sport, ora è improvvisamente catapultato dentro una storia molto più grande. Quasi interamente girato all’interno della cabina di regia della ABC, il film lascia da parte qualunque approfondimento politico per concentrarsi esclusivamente sul lavoro giornalistico, con le sue urgenze, i suoi errori, le improvvise rivelazioni, la corsa alla notizia. Breve, dal ritmo serrato, senza dubbio coinvolgente, con alcuni volti interessanti come Peter Saarsgard, Ben Chaplin, John Magaro (il marito di Past Lives) e Leonie Benesch (protagonista de La Sala Professori). La conferma che, ancora una volta, quello del giornalista è il lavoro più bello da vedere in un film.
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Repulsione (1965): Opera seconda di Roman Polanski (la prima girata fuori dalla Polonia), si tratta di un potente thriller psicologico con una giovanissima Catherine Deneuve. Siamo a Londra, dove una timida ragazza belga prova una sorta di repulsione nei confronti del genere maschile (il titolo doveva pur riferirsi a qualcosa). I disturbi della giovane si fanno sempre più problematici e, nel momento in cui rimane da sola a custodire l’appartamento che divide con la sorella, i suoi comportamenti degenerano. Solo un grande cineasta poteva riuscire a rappresentare in maniera così disturbante la malattia mentale negli anni 60: immagini strepitose per composizione, estetica, funzionalità. Ogni frame sembra una fotografia uscita dalla mente di un grande surrealista e la scena in cui le braccia degli uomini fuoriescono dai muri è un cult assoluto. A tutto ciò aggiungiamo l’uomo che arriva nel sonno per molestare la protagonista, praticamente una sorta di lynchiano Bob ante-litteram. Grande film.
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La Sera della Prima (1977): Gena Rowlands si carica sulle spalle i 140 minuti di questo film di John Cassavetes, prova generale in vista del meraviglioso Gloria, film successivo dell’accoppiata regista-attrice. Qui la nostra è un’attrice, che assiste a un terribile incidente in cui perde la vita la sua fan numero uno. La tragedia porta la donna a un esaurimento nervoso, che metterà a repentaglio lo show, in procinto di essere messo in scena a Broadway. In tutto ciò si aggiungono delle visioni inquietanti della ragazza morta. Orso d’Argento a Berlino per la Rowlands, questo film è un esempio lampante di come il cinema a volte sia quasi un pretesto per esaltare le doti di un’interprete, in un lavoro tagliato su misura per il talento dell’attrice, che esploderà ancora di più nell’opera successiva.
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Grand Theft Hamlet (2024): Durante la pandemia, due attori di teatro, rimasti improvvisamente a spasso, decidono di mettere in scena l’Amleto all’interno dell’open world del videogioco GTA, facendo casting, prove e l’intero spettacolo dentro il gioco, cercando di evitare di essere uccisi da altri gamer (per i meno pratici, GTA è uno dei videogame più violenti di sempre, dove chi gioca può rubare, uccidere e compiere qualunque attività criminale per ottenere bonus di vario genere). L’idea di Sam Crane e Pinny Grylls non è soltanto originalissima, ma è anche divertente, oltre che incredibilmente coinvolgente: dopo i primi cinque minuti sarà impossibile smettere di guardare questo assurdo documentario, se così si può definire. Anche in un periodo di grande crisi, uno splendido esempio di umanità e di come il bisogno di esprimersi artisticamente riesca ad abbattere ostacoli apparentemente insormontabili. Che bello! Lo trovate su Mubi.
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The Game (1997): Due anni dopo il capolavoro Seven, David Fincher torna dietro la macchina da presa per girare un thriller senza capo né coda, ma al tempo stesso dotato di un’estetica affascinante e una sceneggiatura coinvolgente, seppur piena di assurdità e incongruenze. Il ricco e cinico Michael Douglas si ritrova coinvolto, a causa di un regalo di compleanno piuttosto originale, in una sorta di gioco interattivo che si trasformerà ben presto in un vero e proprio incubo, dove sarà impossibile fidarsi di chicchessia. La storia è accattivante, non si discute, ma succedono talmente tante cose senza senso e improbabili, se non impossibili, da rendere l’intera visione niente più che un mero divertissement. Per i livelli a cui ci ha abituato Fincher è un esercizio di stile, finito in mezzo a due progetti di ben altra caratura, come il già citato Seven e Fight Club.
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SERIE TV: Dopo tanti anni è finalmente finita Cobra Kai (Netflix), spin-off della celebre saga cinematografica che ha plasmato l’immaginario di tanti ragazzi degli anni 80, come il sottoscritto. Se le prime due stagioni erano state un gioiello di bellezza, un tuffo in un passato pieno di ricordi e rimpianti, ma anche l’occasione di riscatto per un personaggio, Johnny Lawrence, che aveva bisogno di rimettersi sui binari giusti, le successive quattro si sono trasformate nella fiera dell’assurdo, che sfocia infine in questa sesta stagione, incoerente, irrealistica all’estremo, talmente brutta da provare quasi un senso di tenerezza e il bisogno, inevitabile, di scoprire cosa succederà ancora. Inguardabile, ma non posso non volerle bene. Dall’assurdità del prodotto Netflix, passiamo ora all’esatto opposto, lo straordinario realismo di Dieci Capodanni (RaiPlay), un gioiello in dieci episodi firmato da Rodrigo Sorogoyen, già regista del bellissimo As Bestas. La serie ripercorre, attraverso i dieci capodanni del titolo, la relazione tra Ana e Oscar, due ragazzi di Madrid che si prendono, si perdono, si ritrovano, il tutto nel corso di dieci lunghi anni, in cui succedono ovviamente tante cose. I grandi eventi che accadono ai due non si verificano sempre il 1° gennaio, i capodanni anzi sono spesso il pretesto per lasciar intravedere allo spettatore ciò che è successo durante i precedenti 364 giorni. Dieci Inverni di Mieli incontra la trilogia dei Before di Richard Linklater, in un’opera di incredibile bellezza e sensibilità, che vi farà sentire parte di una storia impossibile da non amare. Recuperatela.


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