
La primavera alla fine non ha tardato tanto ad arrivare, ci siamo dentro e con essa è arrivato un capitolo pieno di film bellissimi, che inizia da un paio di rewatch necessari e prosegue con tre visioni (per me) inedite che sono state un crescendo di bellezza, culminate con un grande ritorno al cinema. In questi ultimi dieci giorni ho anche visto l’opera seconda di Valerio Mastandrea, Nonostante, ma come al solito non la troverete tra i film di questo capitolo perché gli ho già dedicato una recensione completa. Prima di venir tacciato di eccessivo nerdismo, ci tengo a sottolineare che il fatto di aver visto un film che ha la parola “primavera” nel titolo proprio questa settimana in cui è iniziata la stagione in questione è stato assolutamente e puramente casuale.
Hong Kong Express (1994): Probabilmente il mio film preferito di Wong Kar Wai, costruito su due episodi ben distinti: nel primo un poliziotto, dopo esser stato lasciato dalla sua ragazza, decide di aspettare un mese per vedere se c’è la possibilità che lei cambi idea. Nel frattempo incontra in un bar una donna misteriosa, dalla parrucca bionda, che ha a che fare con la malavita locale. Nella seconda storia c’è un altro poliziotto che, dopo una storia d’amore finita male, viene avvicinato dalla giovane commessa di un chiosco, segretamente innamorata di lui. La ragazza, senza farsi notare, apporta dei miglioramenti alla vita di lui per rallegrarlo e farlo aprire nuovamente all’amore. Il film, specialmente la seconda parte, è di una bellezza rara, tra echi della futura Amelie di Jeunet e le atmosfere cupe di un certo cinema di genere tipico di Hong Kong. Impossibile non perdere la testa per la splendida Faye Wong (che tra l’altro è una celebre cantante pop cinese, nel film è proprio lei infatti a cantare la cover di Dreams dei Cranberries). Una curiosità: fu Quentin Tarantino a distribuire questo film negli Stati Uniti, dopo averlo scoperto al Festival di Stoccolma dove si era recato per presentare il suo Pulp Fiction. Che filmone.
••••½
Un Sogno Chiamato Florida (2017): Il mio film preferito di Sean Baker, quando ancora era un quasi perfetto sconosciuto (tranne per noi, ovviamente!). A Orlando, nella Florida del titolo, a due passi dalle luci e dai dollari fruscianti di Disneyland, ci sono diversi motel di basso ordine, dove famiglie, ragazze madri e personaggi di ogni genere cercano di sbarcare il lunario. Mentre gli adulti si divincolano tra lavoretti e sotterfugi, i bambini, sotto gli occhi del manager del motel Willem Dafoe, fanno ciò che sanno fare meglio: giocano. Un film sull’innocenza perduta, ma anche sul magico potere dell’infanzia, che protegge e abbraccia con il suo qui e ora, mentre il futuro non esiste e il mondo degli adulti, inevitabilmente, cade a pezzi. Straordinaria interpretazione della piccola Brooklynn Prince e uno dei finali più belli di questo secolo di cinema. Film stupendo, lo trovate su Mubi.
••••½
Hoard (2023): A volte le strade che ti portano a scoprire un film sono davvero curiose. Negli ultimi mesi sono andato in fissa con la band irlandese Fontaines D.C. e, guardando il bellissimo videoclip di una loro canzone del 2024 (In The Modern World) ho scoperto che la regista aveva fatto il suo debutto cinematografico con questo film dell’anno precedente. Comincia con una madre e una bambina che vivono in condizioni disagiate e ho pensato: “Cavolo, sarà una copia di Un Sogno Chiamato Florida?”. La madre è un accumulatrice seriale, ogni sera si carica di spazzatura e oggetti trovati per strada e se li porta a casa, dove le due sono costrette a vivere sopra montagne di detriti. Questo però è solo il primo atto, poi c’è un salto di dieci anni e la bambina di prima è ora adolescente, vive con una donna che ne ha preso l’affidamento e fa le cose che farebbe una normale ragazza della sua età, finché non succedono un paio di cose: Eddie di Stranger Things viene ospitato per qualche giorno a casa loro e, soprattutto, riceve un pacco con le ceneri di sua madre. Il cortocircuito è che a un certo punto la protagonista (la bravissima esordiente Saura Lightfoot-Leon) dice “That’s what she said”, indimenticabile tormentone di The Office, nonostante la storia sia ambientata negli anni 90. Mi sono chiuso su questa cosa e non ne esco. Ad ogni modo è un film molto bello, diretto magnificamente da una regista under 30, in uno stile che ricorda molto il cinema di Andrea Arnold, ma in qualche modo anche qualcosa di Charlotte Wells. Una nota personale sulla colonna sonora: quanto avrei amato ascoltare Trash degli Suede in questo film!
•••½
Tarda Primavera (1949): Vedere un film di Ozu è come contemplare un’opera d’arte in un museo. Osservi, ammiri, contempli ed esci da lì sentendoti arricchito. Anche in questo caso, ma giuro che è una coincidenza, ci troviamo di fronte a una storia di genitori e figli: una ragazza di 27 anni vive felicemente con il padre vedovo, con cui trascorre giornate bellissime che le mantengono costantemente vivo il sorriso (pure troppo, forse). Incalzata da una zia petulante e scassapalle, che vorrebbe combinare un matrimonio alla nipote prima che diventi troppo adulta per sposarsi, il mondo felice della ragazza si sgretola lentamente, a tal punto da costringere il padre a fare una scelta. Impensabile vedere un film di Ozu senza innamorarsi delle sue inquadrature fisse, delle sue prospettive, di come bilancia un’immagine con un oggetto in primo piano, magari fuori fuoco, incorniciando poi i personaggi all’interno di porte, finestre e continui frames, lungo vie di fuga che sembrano non finire mai. Quando occhi e cuore trovano il punto d’incontro, si può parlare di grandissimo film. Certo, la trama in sé non è magari la mia tazza di tè (anzi, di sakè!), ma quanta bellezza in questi 90 minuti. Lo trovate su RaiPlay all’interno di una bellissima rassegna di film dedicati al regista giapponese: approfittatene!
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Amadeus (1984): Qualche mese fa, quando ho scoperto che questo film di Milos Forman è il preferito di Julie Delpy (e anche di Darren Aronofski!) e che aveva vinto la bellezza di 8 premi Oscar, ho pensato che vederlo subito fosse un obbligo cinefilo. Poi però ho scoperto che sarebbe uscito al cinema per il suo quarantennale e ho deciso di aspettare pazientemente la primavera per poterlo vedere su grande schermo. La storia, in alcun modo attinente alla realtà, racconta l’invidia e l’astio provato dal compositore italiano Antonio Salieri nei confronti del prodigioso e geniale quanto infantile e sregolato Wolfgang Amadeus Mozart. Ogni scena mette in mostra la straordinaria capacità del genio di Salisburgo (anche attraverso tantissime sue opere, dal Don Giovanni, a Le Nozze di Figaro, al Flauto Magico, per citarne alcune) e il clamoroso complesso di inferiorità dell’italiano, interpretato da un F. Murray Abraham in stato di grazia (inevitabilmente premiato con l’Oscar). Un inno alla mediocrità, con una scena iniziale perfetta e un grande finale, il tutto costellato da una serie di sequenze e trovate straordinarie come la festa di Carnevale, l’inettitudine del ridicolo imperatore Jeffrey Jones o l’irritante risata di Tom Hulce (che fino ad allora era celebre solo per il suo ruolo in Animal House di John Landis e che ottenne la parte ai danni dei più quotati Mel Gibson e Mark Hamill). Nonostante le vicende raccontate nel film siano completamente inventate, è tutto così geniale e machiavellico da renderlo vero come solo la finzione sa essere. Vederlo al cinema, su grande schermo, è stata decisamente una buona idea.
••••½
SERIE TV: Quasi per caso mi sono ritrovato una sera a riguardarmi l’episodio pilota de I Segreti di Twin Peaks. Inutile dire che mi sono messo poi a rivedermelo tutto: ora sono a metà della seconda stagione, si è già scoperto chi è stato ad uccidere Laura Palmer e, niente, pensare che una cosa del genere sia andata in onda nei primi anni 90 in prima serata su Canale 5 mi fa uscire matto. Chi ha avuto la fortuna di vedere questa serie negli anni in cui si chiamavano telefilm è stato testimone di una svolta storica nella tv e nella serialità, il momento in cui il cinema e il genio di un regista immenso come David Lynch è entrato nelle case di milioni di ignari telespettatori, cambiandone per sempre il modo in cui avrebbero poi fruito del mezzo televisivo. Perché solo un visionario come Lynch poteva pensare di mettere dentro una tv un nano che parla al rovescio, un gigante profetico, un uomo senza un braccio, una donna che parla con un ceppo, un agente dell’FBI che utilizza il sogno e la meditazione tibetana per risolvere i casi e tantissime altre cose di questo genere (oltre a una collezione di ragazze stupende, in una cittadina di 50mila anime che ha probabilmente la più grande concentrazione di bellezza mai vista in un prodotto televisivo!). Ah, come dimenticare poi la colonna sonora pazzesca e onnipresente di Angelo Badalamenti? Non vedevo Twin Peaks da otto anni e ho amato moltissimo tornarci. Vorrei quasi non potermene più andare, anche se Bob fa davvero paurissima.


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