
Buon Primo Maggio, cari affezionatissimi e care affezionatissime. I capitoli cinefili stanno invadendo la programmazione di questo blog, ma vi assicuro che presto torneranno anche gli altri contenuti, soprattutto le recensioni complete. Ad aprile ho guardato 17 film, esattamente lo stesso numero dello scorso anno, anche se nel computo totale sono a quota 79 da inizio 2025 (quindi indietro di dieci film rispetto al 2024, annata record). Lo so, non è su queste cose che dovrebbe fantasticare una persona adulta, ma che volete farci, godiamo delle piccole cose per navigare in un mare di responsabilità, ansie, rotture di palle. E allora viva il cinema!
Il Bacio di Mary Pickford (1927): Nel capitolo precedente vi parlavo della genialità di Bowfinger e di come avesse preso spunto da questo film sovietico del 1927. Ovviamente, sono andato a cercarmelo per vederlo (e l’ho trovato addirittura su youtube!). Il malinconico bigliettaio di un cinema è innamorato di una ragazza, ma lei non lo vede proprio, soprattutto perché non è famoso (pensate che stronza). L’uomo allora fa di tutto per entrare nel mondo del cinema, finché un giorno, mentre la diva del muto Mary Pickford è a Mosca, riesce a farsi dare un bacio sulla guancia diventando a sua volta l’idolo delle folle. Ma la celebrità, si sa, è un’arma a doppio taglio. Tutto molto divertente, spericolato, piacevole in maniera quasi sorprendente, il colpo di genio però deriva dal fatto che l’attrice statunitense del titolo, Mary Pickford, non aveva assolutamente idea che stessero girando un film su di lei (pensava che le macchine da presa fossero lì per documentare la sua visita per i cinegiornali dell’epoca), infatti le scene in cui è presente sono girate con luce naturale e hanno una sostanziale differenza di qualità nell’immagine. L’importante però è l’idea, poi il montaggio fa il resto: Sergei Komarov è un genio, non è possibile definirlo in altro modo.
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I Soliti Sospetti (1995): Non mancano anche a voi i film degli anni 90? Quando un’idea geniale era tutto ciò di cui si aveva bisogno? Ve lo immaginate un film come questo di Bryan Singer girato oggi, con star strapagate e una serie di scemenze a cui non daresti un briciolo di credibilità? La storia è nota: un criminale di mezza tacca, Kevin Spacey, è l’unico sopravvissuto dopo l’assalto a una nave che, secondo gli inquirenti, trasportava un grosso carico di cocaina. Un detective, prima di lasciar andare Spacey su cauzione, lo trattiene per fargli confessare ciò che sta nascondendo, dando vita a uno dei più grandi thriller di sempre, in un’epoca in cui il plot twist non era ancora all’ordine del giorno, anzi, non te lo aspettavi praticamente mai e, per questo, ti lasciava a bocca aperta. Uno dei finali più memorabili di sempre, oltre ad aver consegnato all’immortalità cinematografica, uno dei nomi più spaventosi della storia del cinema: Keyser Soze. Stupendo, anche a distanza di anni.
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Y2K (2024): Kyle Mooney, figlioccio del Saturday Night Live, debutta alla regia con una storia distopica che, tecnicamente, dovrebbe far acqua da tutte le parti eppure, almeno per me, funziona. I due tipici sfigati del liceo decidono di imbucarsi a una festa di capodanno, anche perché uno di loro sogna di ricevere il classico bacio di mezzanotte dalla bella della scuola, Rachel Zegler. È il 31 dicembre del 1999 e allo scoccare del nuovo anno, il Millennium Bug colpisce tutti gli apparati tecnologici, che prendono vita e si ribellano agli umani, seminando morte e distruzione ovunque (sic). Parte alla grande, con una festa fuori controllo e una regia piena di idee, poi si sgonfia un po’, come una boy band al secondo album. Nonostante ciò, pur avendo più di 40 anni, mi sono sentito di nuovo adolescente, quando guardavo film scemi e mi godevo la musica degli anni 90 (a proposito, il film mi ha messo addosso una grande nostalgia dei Chumbawamba). Non so come o perché, nonostante i cliché (o forse proprio per), la presenza totalmente cringe di Fred Durst dei Limp Bizkit (nella parte di se stesso) e una serie di scene stupide e inverosimili, il film mi ha proprio divertito. Ah, è stato un flop quasi ovunque, quindi mi sa che sono tra i pochi.
•••½
Conclave (2024): Quando vivi a Roma e vieni letteralmente travolto, volente o nolente, da ciò che accade in Vaticano, è consequenziale ritrovarsi a vedere questo film dello scorso anno di Edward Berger, in cui Ralph Fiennes è un cardinale alle prese con l’organizzazione del conclave, tra verità nascoste, dubbi, intrighi, politica, mistificazioni e sorprese continue (e un’eccellente Isabella Rossellini). Il miglior complimento che si può fare a questo film è che sembra un’opera di Tarik Saleh, il peggior commento è che l’ultima mezzora sembra uscita fuori dalle pagine di Dan Brown. Niente miracoli, ma un film solido, ben recitato e pieno di quei momenti in cui pensi “ah, ma allora si può ancora scrivere una sceneggiatura decente”. Ad ogni modo, la finezza estetica di alcune sequenze e l’uso che Berger e il suo direttore della fotografia fanno del colore sono di una bellezza da 5 pallini. Bel film.
•••½
Assassinio per Contratto (1958): Martin Scorsese ha definito questo b-movie di Irving Lerner uno dei film che più lo hanno influenzato nella sua vita. Un uomo, per ottenere denaro più rapidamente rispetto a un impiego tradizionale, decide di reinventarsi come sicario. Tutto fila liscio finché non gli viene chiesto di eliminare la testimone chiave di un imminente processo. Per essere un film del ’58 ci sono tante buone idee: una colonna sonora frivola rispetto ai temi della storia, la quotidianità del sicario, che si intrattiene in occupazioni frivole in attesa di svolgere il suo lavoro e un finale forte e inaspettato. Forse eccessivamente scarno per i miei gusti, nonostante vedere un gangster esistenzialista, calmo, calcolatore, addirittura contrario alle armi da fuoco, sia senza dubbio un concetto abbastanza potente per l’epoca. Non tutto funziona a dovere, ma c’è ottimo materiale di base: forse in mano a un regista più in gamba sarebbe uscito fuori un lavoro eccellente, chi lo sa? Un film (e un protagonista) che ha poco da dire, ma sa come dirlo.
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The Tree of Life (2011): Parlare di questo capolavoro di Terrence Malick è come raccontare un bel sogno, che si vive, si tocca quasi con mano, ma che lentamente sfuma i suoi contorni lasciando alla fine soprattutto il ricordo di una sensazione che ci avvolge, ci culla nel vissuto quotidiano, parlando direttamente alla nostra anima. Dire che questo è soltanto un film sarebbe come dire che la Divina Commedia è soltanto un libro: l’esperienza umana sfiorata lungo le oltre due ore di film porta con sé la capacità di tramutare la visione cinematografica in un viaggio all’interno di noi stessi. La vita di una famiglia statunitense negli anni 50, con tre bambini educati sotto lo sguardo severo del padre Brad Pitt, ma anche secondo dettami di grazia e bontà trasmessi silenziosamente dalla madre Jessica Chastain. Un conflitto famigliare come pretesto per sussurrare il senso della vita: è questo che fa Malick, chiedendo allo spettatore lo sforzo di abbandonarsi alla sua opera, di lasciarsi guidare, e soprattutto di fidarsi di lui: è incredibile come questo film mi faccia sentire piccolo e inutile, ma allo stesso tempo migliore. Ma forse Malick è un extraterrestre: da anni ci osserva in silenzio, lentamente ha capito tutto dell’essere umano. E ora ha deciso di spiegarcelo, con una macchina da presa che danza morbida come se si trattasse della soggettiva del vento, di una foglia che cade, di una farfalla che vola o una tenda che si muove.
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SERIE TV: Due anni fa mi sono appassionato a The Last of Us (qui trovate la recensione completa del primo episodio) e, senza neanche pensarci un momento, ogni lunedì sto incollato alla tv per gustarmi i nuovi episodi di questa seconda stagione. Sapete che non amo molto le serie tv, normalmente le guardo solo se valgono davvero la pena di dedicarvi tutto quel tempo: questo dovrebbe già essere un buon indizio sulla qualità di questo prodotto. Il secondo episodio della seconda stagione ha già fatto epoca, per una svolta inaspettata nella trama (alla quale ovviamente non intendo fare il minimo accenno, a dispetto di alcuni malati di mente che gestiscono pagine social dedicate al cinema, tipo Indiewire, che recentemente si sono attirati addosso gli insulti di molti fan per aver piazzato lo spoiler in bella vista nelle timeline dei suoi follower). Ad ogni modo, questa seconda stagione sta confermando quanto di buono si è visto nella prima: azione, psicologia, ironia, resilienza, malinconia, giustizia, credibilità. Serie clamorosa.


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