Recensione “The Last of Us” (Episodio 1)


Qualche anno fa un ex vicino di casa, davanti a un caffè (e/o una birra), cominciò a parlarmi di un nuovo videogioco che lo stava tenendo sveglio tutte le notti. Da amante delle storie fatte bene gli chiesi di parlarmene e così Emiliano mi cominciò a raccontare la storia di quest’uomo costretto a fronteggiare una sorta di pandemia zombi al fianco di una ragazzina, soffermandosi non solo sui dettagli della trama, ma anche sulla bellezza grafica, che lo fanno sembrare a tutti gli effetti una specie di “film interattivo”. Il taglio cinematografico del videogame e la profondità della storia infatti lo hanno reso sin da principio un instant cult e ora la HBO, dopo aver prodotto Game of Thrones, ha fatto all-in sulla trasposizione televisiva di uno dei migliori videogiochi di sempre, mettendo in cabina di comando Craig Mazin, già showrunner di una delle più grandi serie degli ultimi anni, Chernobyl.

Prima di andare avanti, è doverosa qualche informazione in più per capire di cosa parla The Last of Us, per chi non ha console e soprattutto ex vicini di casa che raccontano cose belle: nel 2003 Joel, reduce della guerra del golfo, festeggia il compleanno con sua figlia Sarah, un’adorabile ragazzina che Joel sta purtroppo crescendo da solo (con l’aiuto del fratello Tommy). La sera del suo compleanno però ci sono strane vibrazioni in città. Sirene, ambulanze, fumo. Un’anziana vicina che improvvisamente tenta di aggredire padre e figlia. Sta succedendo di tutto, le strade sono bloccate e i militari quasi sparano a vista. Nel 2023 il mondo presenta scenari apocalittici: parti delle città sono diventate zone di quarantena dove vige la legge marziale. Da vent’anni infatti un fungo ha sviluppato un’infezione che aggredisce il sistema nervoso di chi è contagiato rendendo le persone dei terribili predatori, senza più alcuna volontà. In questo contesto conosciamo Ellie, una ragazzina sveglia, nata durante la pandemia, che sembra essere preziosissima, almeno secondo il gruppo di rivoluzionari che combatte la dittatura nata in seguito a questa apocalisse di infetti (denominata FEDRA, Federal Disaster Response Agency).

Sin qui è tutto piuttosto lineare (e sono molti i debiti con lo straordinario romanzo Io sono leggenda scritto da Richard Matheson nel lontano 1954): il caos in seguito all’ondata di contagi, il gruppo di rivoluzionari, la ricerca di un familiare come motore dell’azione. Gli 81 minuti del pilota di The Last of Us hanno però una marcia in più rispetto alle varie stagioni di The Walking Dead e qualunque altra opera recente su zombi e simili (infetti, contagiati e compagnia bella): al di là dell’accuratezza tecnica (figlia anche di un budget più che importante), The Last of Us è il primo lavoro di questo genere ad esser stato sviluppato e realizzato dopo lo scoppio della pandemia che tutti noi conosciamo e lo strepitoso incipit di questo episodio pilota, ambientato negli anni 60, dove due virologi discutono delle possibili implicazioni virali che gli esseri umani potrebbero fronteggiare, è straordinariamente esemplare e spiega ciò che vedremo dopo in maniera brillante, senza spiegoni a posteriori né tempi morti per dover raccontare cosa è accaduto al mondo. Certamente, il videogioco è del 2013, tempi in cui il Covid e il pensiero di una pandemia erano ancora fantascienza, ma il tema della serie ci fa inevitabilmente pensare alle correlazioni con tutto ciò che ha fatto parte della nostra cronaca in tempi recenti (ovviamente qui estremizzate all’inverosimile): che piaccia o no, l’empatia che proviamo nei confronti dei personaggi e per quello che vivono è uno dei grandi punti di forza di questo show (e il fatto che sia l’adattamento di un videogioco di dieci anni fa impedisce anche di doverla giudicare una forzatura nata dalla mente di qualche autore durante il lockdown).

Ciò che accade a Joel nel 2003 non solo è fedelissimo al videogioco (su Youtube c’è ovviamente il gameplay, utile per confrontare le scene e scoprire la straordinaria bellezza del gioco, per chi come me non ha avuto la fortuna di poterlo giocare), ma è perfetto nell’introdurci a ciò che sta succedendo, senza mettersi in mostra come hanno fatto tanti prodotti simili prima di questo, semplicemente trascinandoti nella situazione attraverso gli occhi dei protagonisti: basti pensare che in quasi un’ora e venti minuti vediamo soltanto due infetti veramente pericolosi (laddove chiunque – vedi ad esempio World War Z – avrebbe invece approfittato del turning point, mostrandocene a centinaia). Più avanti, nel 2023, Joel che adagia il cadavere di un bambino infetto nel fuoco (riprendendo la scena di vent’anni prima – circa venti minuti nel tempo di chi guarda – di quando aveva preso in braccio sua figlia Sarah e poggiata sul letto) è un non detto straordinario per introdurci non solo al presente del racconto, ma anche nel caratterizzare il protagonista della storia, lasciandoci immaginare tutto quello che può aver affrontato nei due decenni precedenti. Il resto è da scoprire: da una versione tecnologica e molto efficace del “tampone” alla necessità di uscire dalla zona di quarantena per mettersi in viaggio verso l’oscurità. Tutto questo, mentre Dave Gahan illumina la notte sulle note di “Never Let Me Down Again”: I’m taking a ride with my best friend, I hope he never lets me down again, he knows where he’s taking me, taking me where I want to be.

In attesa dei prossimi episodi, che in Italia sono trasmessi in diretta e in streaming su Sky, appare già evidente che The Last of Us non sarà un fuoco di paglia. Se questo è stato l’assaggio, potremmo essere di fronte ad una delle migliori serie tv di questo decennio: qualcosa mi dice che sarà proprio così.

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