
Il verlan è un linguaggio gergale francese molto utilizzato dai giovani, caratterizzato dall’inversione delle sillabe di una parola. È così che la parola fou, pazzo, diventa ouf, come nel titolo originale, ovvero L’Amour Ouf. Due parole che meglio non potrebbero descrivere l’energia pulsante di questa storia, quella di un amore adolescenziale che brucia l’anima, che mantiene il fuoco acceso nonostante tutto ciò che può accadere: non è un caso se i momenti più belli di questa storia sono quelli in cui racconta l’innamoramento tra una ragazzina sveglia e un romantico teppistello, tra dischi dei Cure, giri in motorino e canzoni ascoltate alla radio da registrare su musicassetta (l’abbiamo fatto tutti, no?).
La prima parte del film funziona eccome, sospinta da un’operazione nostalgia accarezzata dal sole degli anni ’80 e resa credibile da una spontaneità coinvolgente. La storia però perde forza e interesse quando devia troppo verso i territori del gangster movie: è lì che entrano in scena Adele Exarchopoulos e François Civil, ormai adulti ma intrappolati in un mare di cliché dal quale nemmeno un interprete esperto come Gilles Lellouche, qui regista, riesce a farli emergere. Il confronto tra i luoghi comuni della trama crime e l’intensità di un sentimento così pieno e corrosivo si chiude quindi in parità, lasciandoci in dono alcune sequenze bellissime e, al tempo stesso, il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere ben più di un compito ben svolto.
Se l’amore non muore, come cita il titolo italiano, la pazienza dello spettatore invece vacilla. Il successo al botteghino francese però è incoraggiante: magari tra le 457 parole segnate dal protagonista c’è anche quella per capire se questo amore tormentato conquisterà anche voi.


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