Recensione “State of Play” (2009)

Una volta Filippo Sacchi ha scritto che al cinema conta soltanto una cosa: il cinema. Così come in amore conta una cosa soltanto: l’amore. Soprattutto per questo motivo l’ultimo lavoro di Kevin Macdonald merita tutti i nostri consensi: perché nonostante un colpo di scena finale un po’ forzato e una struttura narrativa che non aggiunge molto al genere, si tratta di cinema puro, al 100%, che va oltre quelli che potrebbero essere i suoi difetti per andare dritto all’obiettivo: insinuare i suoi tentacoli lungo le poltroncine del cinema e avvinghiare il pubblico negli intrighi della trama, sorretta dallo sguardo sornione dell’ottimo Russel Crowe (gladiatore d’esperienza).

Al veterano della carta stampata Cal McAffrey viene affidato un pezzo sull’omicidio di un giovane scippatore, ucciso la notte precedente a colpi di pistola. In redazione arriva anche la notizia della morte accidentale della giovane assistente di un uomo politico in ascesa, Stephen Collins: si (s)parla di una relazione tra il politico e la ragazza, una succosa notizia di gossip per il blog della versione online del giornale, tenuto dalla caparbia Della Frye. I due giornalisti, nonostante le iniziali diffidenze (interessante in tal senso l’accenno alla diatriba tra giornalista cartaceo e blogger, una tematica molto attuale che meriterebbe un approfondimento a parte), troveranno una relazione tra i due casi, dietro ai quali si nasconde uno scandalo da milioni di dollari.

Macdonald omaggia a gran voce Tutti gli Uomini del Presidente” (probabilmente il capolavoro essenziale sul mondo del giornalismo), mostrando il lavoro che c’è dietro un’inchiesta giornalistica e allo stesso tempo la faccia meno pulita del mondo della politica. Giorni e notti dedicate ad inseguire una voce, un contatto, una fonte, tutto per riuscire a mandare l’articolo in stampa, per urlare a squarciagola una versione della verità, quella di un giornalismo che sembra non esistere più. E finalmente, sui titoli di coda, le rotative possono stampare parole e sudore di un articolo, sulle note sofferte dell’azzeccata Long As I Can See the Light dei Creedence.


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Comments

Una replica a “Recensione “State of Play” (2009)”

  1. Avatar stevemcqueen

    Una sorta di Tutti Gli Uomini Del Presidente 2.0.
    Potrebbe starci come definizione
    Byez

    "Mi piace"

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