Recensione “Buried” (2010)

Un film interamente girato all’interno di una bara: è questa la sfida impossibile raccolta da Rodrigo Cortés, ennesimo talento emergente del cinema spagnolo, che ha trasformato una sceneggiatura geniale e allo stesso tempo difficile in una miracolosa esecuzione cinematografica. Cortés immerge gli spettatori insieme al suo protagonista per oltre 90 minuti all’interno di una cassa, senza un raggio di sole, senza un filo d’aria, riuscendo a tenere sempre alto il ritmo e procurando una vera e propria esperienza fisica: il film è costantemente dinamico, nonostante la limitazione spaziale della location.

Buio. Respiri affannati, e dopo pochi minuti la luce di un accendino. Via il bavaglio dalla bocca, e piano piano la consapevolezza di trovarsi in una bara, sepolto vivo: è così che comincia la storia di Paul Conroy. Un accendino, un cellulare e una matita sono tutto ciò che ha, oltre a l’aria che ancora gli resta. Attraverso il telefono comincia a cercare aiuto, e viene a scoprire il motivo per cui è finito in questa situazione. Ma la batteria è limitata, così come l’aria, mentre la sabbia comincia lentamente a filtrare dal legno della bara.

Cortés ha studiato e ammirato per bene la lezione del Maestro Hitchcock, dimostrandosi un eccezionale burattinaio per la sua capacità di dilatare e giostrare il tempo e lo spazio, con in più un accenno alla questione irachena usato come pretesto per mettere in moto la storia (più o meno come il celebre MacGuffin hitchcockiano). Il regista ha lavorato con maestria sull’aspetto empatico ed emotivo della pellicola senza ricorrere mai ad un commento musicale e senza fornire mai un attimo di respiro allo spettatore, restando sempre all’interno della bara. Superato l’impatto iniziale con la “location”, le preoccupazioni convergono sulla storia: continui colpi di scena, brevi telefonate capaci di raccontare l’universo di un uomo, e in qualche modo di un’intera società, frenetica e incapace di ascoltare. E quando l’aria sta per mancare ecco accendersi le luci in sala, staccando finalmente lo spettatore da questo strepitoso thriller, e fornendogli un soffio di quel respiro che avremmo volentieri regalato al protagonista. 90 minuti con il fiato sospeso, e stavolta non si tratta semplicemente di un modo di dire.

pubblicato su Livecity

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Ale55andra ha detto:

    Questo lo aspetto particolarmente.

    "Mi piace"

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