Recensione “Kill Me Please” (2010)

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Il film si apre con il campo lungo su una villa antica, quasi soffocata dalla neve e recintata da un bosco all’apparenza eterno e infinito. Il bianco e nero e il contrasto tra la neve e il legno degli alberi ci fa immediatamente pensare ad un fotogramma uscito da un film di Bergman, ma siamo fuori strada. Olias Barco, al suo secondo lungometraggio, colpisce totalmente nel segno con la sua commedia nerissima, cattiva ed irriverente: grottesco in ogni suo spunto, “Kill Me Please” ci riempie di sensi di colpa, quasi ci vergogniamo di ridere dei suoi personaggi, ma allo stesso tempo esorcizza la paura della morte, trattando con grande originalità il tema dell’eutanasia.

La clinica del Dottor Kruger cerca di offrire dignità e assistenza ad aspiranti suicidi: i clienti di questa clinica isolata nel bosco sono tutte persone che non ne possono più di vivere. C’è chi ha perso la moglie, chi deve farsi un’iniezione al giorno dall’età di 5 anni e ha il corpo ricoperto di buchi, chi ha dedicato la vita al canto e ora ha perso la voce, e molti altri. In una quotidianità grottesca e surreale, in cui gli ospiti si aspettano che il dottore esaudisca il loro ultimo desiderio prima di morire, sarà però la morte a decidere come e quando colpire.

Si ride a gran voce per poi strozzare subito le risa in gola, Barco ci fa ridere anche di ciò di cui non vorremmo, dentro un bianco e nero che amplifica le sensazioni alienanti e claustrofobiche già sottolineate dalla location. In “Kill Me Please” si intravede qualcosa dell’accoppiata Delépine-De Kervern (suggerita anche dalla presenza di Bouli Lanners, già protagonista di “Louise Michel”), imponendosi come una delle migliori proposte di questa annata cinematografica per quanto riguarda qualità e originalità. Diabolico e geniale.

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Comments

Una replica a “Recensione “Kill Me Please” (2010)”

  1. Avatar utente anonimo

    Bianco e nero, black-comedy, belga…ma che cavolo, mi disorientano!!!

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