Recensione “2 giorni a Parigi” (“2 days in Paris”, 2007)

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Opera prima di Julie Delpy, impegnata nel film a 360°: è sceneggiatrice, regista, attrice protagonista, produttrice, montatrice, musicista. Una commedia romantica, ma non troppo, piena di spunti divertenti, ben scritta e ben recitata: un film che brilla di luce propria, pieno di autoironia sulla Francia e sui suoi clichè, sottolineati dalle prelibate disavventure del protagonista maschile Adam Goldberg, americano “lost in translation” (nella lingua francese).

Marion, parigina, e Jack, newyorkese, di ritorno da Venezia e in procinto di ritornare a casa loro a New York, si fermano due giorni a Parigi per presentare a Jack la famiglia della sua ragazza. Nella capitale francese si scontreranno le verità nascoste di una relazione ancora troppo superficiale: lui, ossessionato dalla vista dei tanti ex di Marion e dalle fissazioni dei suoi genitori; lei, ancora legata alle sue vecchie fiamme da una tenera amicizia e troppo emancipata per i gusti di Jack.

Un film sull’amore, sulla gelosia, sull’incomunicabilità, che non risparmia di mostrare la faccia sporca di una Parigi inedita, piena di difetti, tutt’altro che da cartolina: tassisti razzisti, artisti perversi e i pericoli della periferia (basti pensare alla fine che faranno i poveri appassionati che desideravano percorrere il tour del Codice Da Vinci!). Battute rapide, eccellente tempismo nei dialoghi, equivoci e fraintendimenti linguistici a non finire, oltre che frizzanti scambi di opinione (la discussione sul sesso orale è fenomenale: “Io credo che un pompino sia qualcosa di importante, in fondo è per un pompino che l’ultima chance dell’America di avere una sana democrazia è andata in fumo”). Attori in palla (va detto che i genitori di Marion sono i veri genitori di Julie Delpy) e una fortunata sceneggiatura rendono questi due giorni a Parigi una giostra di romantici equivoci e spaventosi orrori, che smitizzano la Ville Lumiere e allo stesso tempo la rendono umana e irresistibile.

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