Erano più o meno sette anni, dai tempi del bellissimo “Broken Flowers” di Jim Jarmusch, che non godevamo di Bill Murray in un ruolo così importante, nel caso in questione nel ruolo del presidente Franklin Delano Roosevelt. Anche se la pellicola di Roger Michell è narrata in prima persona da Daisy, “amica intima” del presidente, è l’esuberante ex acchiappafantasmi il vero centro di gravità del film, capace di rubare la scena a tutti gli ottimi interpreti che lo circondano. Non è un caso se i momenti più interessanti del film sono quelli in cui compare Murray, costretto a reggere sulle spalle una pellicola tutto sommato graziosa ma incapace di lasciare un segno forte e deciso nel ricordo dello spettatore.
Nel giugno del 1939 il presidente Roosevelt ospita il Re e la Regina d’Inghilterra nella villa in campagna di sua madre. È la prima volta che i Reali britannici si spingono negli Stati Uniti, il motivo è ben chiaro: chiedere il sostegno statunitense nella guerra ormai imminente con la Germania. In un contesto storicamente così importante e decisivo, i Reali si trovano circondati da una situazione piuttosto informale rispetto alle loro abitudini: il presidente Roosevelt è un uomo alla mano, che ama essere circondato dalle donne (sua moglie Eleanor, la madre, la segretaria Missy, la vicina Daisy), quelle stesse donne che avranno un ruolo fondamentale per la riuscita di questo memorabile weekend.
Guardando la pellicola è inevitabile pensare a “Il discorso del re”, con cui il film di Michell ha in comune il balbettante Re inglese, stavolta interpretato da Samuel West. Il problema di “A royal weekend” (il cui titolo originale tra l’altro è “Hyde Park on Hudson”) è che non ha il coraggio di schierarsi, cinematograficamente parlando: poteva essere una commedia brillante, ma si frena ogni qual volta ne ha l’occasione; poteva uscirne un film drammaticamente intenso, ma rinuncia anche ad essere questo. Ciò che sembra alla fine, è un film a metà, molto ben interpretato, pulito, che però non riesce ad andare oltre il suo compitino. Porta a casa la sufficienza, ma niente di più.
pubblicato su Livecity