Recensione “Le Week-End” (2013)

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Lo ammetto. Avevo voglia di vedere questo film solo per buttarmi un’ora e mezza nella nostalgia di una Parigi da cartolina, nei cliché della Ville Lumiere, per sguazzare nei miei ricordi personali in una città che non smette mai di emozionare. Non mi aspettavo onestamente null’altro. Invece la commedia agrodolce di Roger Michell (“Notting Hill”) oltre alla Parigi da cartolina e ai diversi cliché (compresa una deliziosa citazione del balletto di “Bande à Part”), aggiunge qualcosa che non ti aspetti: l’umanità di una storia d’amore mai banale, deragliata dai binari del tempo, ingobbita dal peso della quotidianità, appesantita dalla noia. “Come si può vivere altrove?”, si domanda Meg, protagonista femminile, osservando il panorama dall’alto della collina di Montmartre: in questa frase è racchiuso molto di quello che vedremo. Perchè, come vuole il luogo comune, Parigi è la città dall’amore, della leggerezza dell’animo, della “vie bohemienne”, ed è proprio qui che i protagonisti cercheranno di ritrovare la passione e la gioventù sfiorita da tempo.

Gli inglesi Nick e Meg dopo trent’anni di matrimonio decidono di tornare nella città dove hanno trascorso la luna di miele: Parigi. Lui è un professore universitario ormai disilluso, senza stimoli, aggrappato all’amore per sua moglie Meg che invece sembra stanca della sua vita, del suo lavoro, del suo matrimonio. Cerca nuove esperienze che le possano riconsegnare l’allegria e soprattutto possano rompere la routine di un’esistenza ormai inevitabilmente diretta verso la noia. L’incontro casuale con un vecchio amico di Nick, il ricco e logorroico Morgan, tirerà fuori dalla coppia tutto ciò che pensavano di aver dimenticato.

Nonostante i luoghi comuni, che in fin dei conti sono difficilmente evitabili quando si realizza una commedia ambientata in una città straniera, il film di Michell sorprende per la profondità di alcune scene (il risveglio notturno di Meg nel letto vuoto e ciò che succede dopo è addirittura commovente), per il velo di malinconia che aleggia sullo sguardo di un Jim Broadbent perfetto. Strano a dirsi, ma il film funziona meglio quando scende nelle profondità delle emozioni piuttosto che nelle scene da commedia pura, che in alcuni casi appaiono quasi forzate. Ma in fondo finché possiamo entrare in un bar di Parigi e ballare come in un film di Jean Luc Godard, non potrà capitarci mai niente di male.

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