Il documentario definitivo su Kurt Cobain e il fenomeno Nirvana. Brett Morgen apre i diari e i quaderni del leader della band, trova i video della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua consacrazione, ci permette di sbirciare nella testa di uno di quei personaggi che hanno segnato la storia del rock. Vedere il film è un po’ come leggere di nascosto i pensieri personali di un’altra persona, alla fine ti sembra di conoscerla meglio, ti senti quasi di giudicarla per quello che ha scritto e ha fatto, e sui titoli di coda ti fa quasi sentire in colpa per esserti permesso di scoprire così tante cose su di lei. Dove non arrivano i filmati di archivio arriva l’animazione digitale, che permette a Morgen di raccontare un tentativo di suicidio avvenuto molto prima che Kurt Cobain diventasse “Kurt Cobain”.
Nonostante la scelta di Nirvana come nome della band (concetto buddista che riguarda la libertà dal dolore e dalla sofferenza del mondo esterno), Cobain sembra aver subito per tutta la sua esistenza le conseguenze della sua adolescenza travagliata, dove sia la madre che il padre, divorziati e in seguito risposati, hanno cercato di tenerlo lontano da loro. Il documentario di Morgen, attraverso le interviste ai genitori, alla sorella e ad altri componenti della vita di Cobain (il co-fondatore dei Nirvana Krist Novoselic e la moglie Courtney Love) ripercorre le turbe psicologiche e al tempo stesso i grandi lampi di creatività di quello che probabilmente è stato il personaggio simbolo degli anni 90, considerato, suo malgrado, portavoce della cosiddetta generazione X.
Chi era Kurt Cobain? Una persona fragile, sensibile, schiacciata dal peso del successo, incapace di fingere di fronte al mondo che lo adorava, “costretto” a rifugiarsi nella droga per sfuggire ad una realtà troppo pesante per lui. Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente (come ha scritto il cantante sulla sua lettera d’addio)? Oppure, come afferma sua sorella Kim, “è meglio non avere il cervello di un genio”? Certamente il documentario di Morgen va oltre la “leggenda Cobain” e ci regala un’immagine schizofrenica ma anche pura di un artista che non ha mai voluto accettare la sua grandezza: “Non mi interessa diventare famoso, l’importante è la buona musica”.