Recensione “The Hateful Eight” (2015)

The-Hateful-Eight

Ouverture: la proiezione stampa si è svolta a Cinecittà, è la prima volta che mi capita in otto anni di anteprime. Una navetta da otto posti (sette più l’autista), porta gli invitati all’ingresso del mitico Studio 5, sotto le stelle immerse in una nebbia piuttosto rara per Roma. Da dietro un altro studio sbuca imperiosa la scenografia di “Roma”, la serie. La musica di Ennio Morricone introduce la pellicola, proiettata in 70mm (una modalità di ripresa piuttosto rara che permette una definizione ancora più alta delle immagini). L’hype, inutile dirlo, è al massimo.

Una lentissima carrellata all’indietro svela un crocifisso immerso nella neve fresca: una diligenza è in arrivo alle sue spalle. Quentin Tarantino, in questo suo ottavo film, fa incontrare un racconto di Agatha Christie e le sue Iene, bloccandoli tutti insieme in una locanda del vecchio west. Fuori c’è una violentissima bufera di neve. Quel che ne esce fuori è qualcosa di completamente nuovo e al tempo stesso decisamente classico, certamente bellissimo. Tre ore (e otto minuti) di un dramma perfettamente teatrale (si svolge quasi interamente all’interno della locanda di Minnie), dipanato nell’arco di 24 ore e separato in capitoli, come spesso accade nei film di Tarantino. Otto individui bloccati insieme in un luogo che non appartiene a nessuno di loro, al riparo da una neve che non intende purificare, semplicemente lascia al tempo il compito di giudicare, di tirare i fili finché non si riescono a chiarire definitivamente le questioni. Otto personaggi sopravvissuti ad un’agghiacciante Guerra Civile, che li ha visti coinvolti più o meno tutti: è l’America fa i conti con la sua storia, stravolge i cliché, cambia le carte in tavola. Ma è anche un Tarantino che gioca a Cluedo, che si conferma narratore onnivoro, che si appropria di elementi del western, del thriller, del giallo e li mescola a sua discrezione, miscelando sapientemente le dosi. Gli otto personaggi del titolo sono dunque burattini al servizio della messa in scena che, nella prima parte, si passano a turno il ruolo di “buoni” e “cattivi” fino a definirsi in maniera sempre più netta nella seconda metà del film. Sono tutti personaggi con un passato da rivelare, ma un elemento cruciale del film sta nel fatto che è difficile identificarsi in loro: sembrano essere, chi più, chi meno, tutte delle canaglie, e chi non sembra tale forse ha qualcosa da nascondere. O forse no, ma non possiamo saperlo con certezza. Mettete dei personaggi del genere, sospettosi gli uni con gli altri, in un luogo dal quale non possono uscire e vedete che succede: questo è “The Hateful Eight”, ed è per questo che è bellissimo.

A tutto ciò va aggiunto un elemento da non sottovalutare: il sottotesto storico sugli Stati Uniti d’America. Racconta meglio l’America questo film di quanto abbia fatto ad esempio Spielberg in “Lincoln” (il Presidente tra l’altro è citato più volte dai personaggi del film ed è una semina narrativa splendidamente raccolta nell’ultimo dialogo). Da questo punto di vista sembrerebbe dunque il film più maturo di Quentin Tarantino, che continua a stupire, confermandosi ancora una volta un grandissimo narratore di storie sì assurde, ma assolutamente di culto. Un film enorme.

hateful8

 

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