Giovedì 13 Ottobre
E sono undici. Undici edizioni di una Festa/Festival che si odia, si detesta, si discute, ma che alla fine ci porta sempre qui all’Auditorium, ogni giorno per dieci giorni, dal lontano 2006. Una Festa che finisce sempre per farsi amare, per lasciare un ricordo in più per noi che, rivedendo le foto delle scorse edizioni, ci lasciamo sfuggire un piccolo sorriso nel rivedere come eravamo, quanti capelli avevamo, quanta spensieratezza vagava per i corridoi del Parco della Musica. Ogni volta che ricomincia è sempre come tornare a casa, o forse un po’ come quando ai tempi di scuola si partiva in gita con la scuola per stare fuori tanti giorni in cui ci si stancava tanto ma ci si divertiva di più. Undici è un bel numero, come una squadra di calcio, o come la piccola protagonista del fenomenale “Stranger Things”, che ha monopolizzato la nostra attenzione durante l’estate appena trascorsa. Sto divagando lo so, è sempre così quando devo cominciare il diario di bordo di un nuovo Festival: invece di occuparmi del presente e dei giorni futuri, penso sempre al passato. Oggi ho visto tre film e ho giocato a nascondino con Tom Hanks, che a quanto pare ha vinto la sfida: non si è fatto vedere (da me, ma su questo ci torneremo dopo).
Il film d’apertura del Festival è “Moonlight” di Berry Jenkins. Tre capitoli per raccontare tre fasi diverse della vita dello stesso personaggio: Little, Chiron e Black, ovvero infanzia, adolescenza ed età adulta di un nero della Florida, cresciuto tra mille difficoltà, un mentore buono ma dall’influenza discutibile (lo spacciatore Juan), una madre tossica, i bulli di scuola e un migliore amico con cui ha un rapporto tenero e ambiguo. Bellissima la prima parte, debolissima la seconda, un po’ meglio nel finale. La battaglia di un ragazzo nero destinato ad una vita problematica non è sulla strada, ma nei suoi sentimenti? Un buon film, ma come apertura di Festival si poteva trovare di meglio, credo.
Nel pomeriggio il grande dubbio era: incontrare Tom Hanks per sentirlo parlare della sua carriera o andare nella sala peggiore di tutto il Festival per vedere un film britannico in cui un ragazzino diventa amico di Joe Strummer? Che domande, i Clash mi hanno salvato la vita (non è vero, però suonava bene), come facevo a resistere alla tentazione di un film del genere? Ho aspettato il buon Tom sul red carpet per circa 40 minuti, avrei voluto fotografarlo, ma un po’ il freddo di oggi, un po’ la paura di non riuscire ad entrare in “sala” (parliamo dello Studio 3 dell’Auditorium, vi auguro di non scoprire mai di cosa si tratta), ho deciso di andare a vedere “London Town” di Derrick Borte. Un quindicenne praticamente senza madre e con il padre pieno di debiti deve badare alla sua sorellina e ai bollori rabbiosi dell’adolescenza: troverà conforto in una biondina ribelle e nel punk. Shay diventa – magia del cinema! – buon amico del frontman dei Clash, Joe Strummer (Jonathan Rhys Meyers) e riuscirà a tirar fuori il meglio di sé grazie anche ai consigli saggi del carismatico e indimenticabile cantante. Non è un film ambizioso ed è per questo che funzione: diverte, scorre bene e ci fa sentire splendida musica. Può andare, se ci si accontenta.
In serata c’era grande attesa da parte mia per il documentario “Richard Linklater: Dream is Destiny” di Louis Black e Karen Bernstein. Se non siete capitati su questo blog per caso sarete sicuramente al corrente del mio amore incondizionato per il regista texano, autore tra gli altri di “Boyhood”, “Before Sunrise”, “Dazed and Confused” e “Everybody wants some”. Nonostante il mio ritorno due volte in un giorno allo Studio 3 (dal quale mancavo fortunatamente dal 2008, quando mi infilai in quel buco per approfittare di un “Carlito’s Way” d’eccezione durante una retrospettiva su Pacino), gli ottantasei minuti di questo film sono stati una bella emozione: un po’ come una rimpatriata tra vecchi amici della tua adolescenza. La cosa più interessante del documentario è la passione che trasuda da ogni racconto di Rick Linklater, l’ispirazione che diffonde. Una cosa è certa: ti mette addosso una voglia incredibile di scendere per strada e girare un film.
Dopo quattordici ore all’Auditorium ho preferito evitare di mettere una tenda per dormire e tornare a casa a riposarmi. Domani arriva forse quello che, per quanto riguarda le aspettative, potrebbe essere il film migliore del Festival, “Manchester by the sea”. Ma, come sapete, domani è un altro giorno… Buonanotte.