Sabato 15 Ottobre.
Giornata intensa oggi al Festival. Prima sveglia alle 7 per me, una cosa che succede solo a ottobre per quanto mi riguarda, andando a stravolgere totalmente il mio personalissimo fuso orario. E così con cinque ore di sonno mi avvio con la mia 600 blu per il meraviglioso Lungotevere del sabato mattina: il sole bacia Castel Sant’Angelo, i pochi turisti del primo mattino ammirano l’Ara Pacis e l’Auditorium sembra davvero dietro l’angolo. Prima proiezione della giornata è “Sole, cuore, amore” di Daniele Vicari, la storia di una donna costretta ogni giorno a raggiungere l’altro capo di Roma per lavorare come barista e mantenere il marito e i quattro (4!) figli. L’odissea della precarietà, l’avventura suburbana di chi cerca di sorridere nonostante la guerra quotidiana con l’inferno cittadino: autobus, metropolitane, l’arduo ricatto del lavoro senza soste. Sembra un film di Ken Loach, e questo è il miglior complimento che si possa fare a Vicari. D’altro canto, senza entrare nei dettagli, il finale è sembrato un po’ troppo esagerato, volutamente esagerato, cosa che lo ha reso leggermente meno attinente alla credibilità che fino a quel momento la faceva da padrona. Ciononostante il film resta comunque validissimo, prezioso, emozionante e, cosa fondamentale, anche divertente. Riesce ad aprire tante sottotrame e le chiude tutte con grande bravura di scrittura. Isabella Ragonese poi è praticamente la sosia di una mia cara amica e in questo film ancor di più del solito, una cosa che mi ha spiazzato per tutto il tempo.
Neanche il tempo di gustarsi i titoli di coda che subito ero di corsa giù dalle scale della Sala Sinopoli per lanciarmi su quelle della Sala Petrassi: alle 11 toccava a “The birth of a nation”, di Nate Parker. Quando alle 9 si vede un bel film è molto dura per quello delle 11 reggere il confronto, ma non solo per questo il film di cui si è detto un gran bene al Sundance (ha vinto il premio del pubblico e quello della giuria) mi ha davvero deluso. Sembra una sorta di “12 anni schiavo” che a un certo punto si trasforma in “Braveheart”, ma non ha né lo stile visivo del primo né il carisma e la potenza del secondo. Ho avuto la tentazione di lasciare la sala a metà film, ma sapevo che stava per arrivare una seconda parte più interessante (cosa che di fatto non è successa), e così sono rimasto. Dovete sapere che una mia regola d’oro e di non guardare mai l’ora durante la proiezione di un film. Non so perché, ma non voglio sapere quanto manca alla fine o quanto tempo è passato. Bene, stavolta purtroppo ho violato questa regola, e quando pensavo che fosse già passata un’ora e mezza in realtà era passata soltanto un’ora. Non vuol dire molto lo so, e dalla sua ha la grande attenuante di essere un film visto di mattina subito dopo un altro, con poche ore di sonno sulle spalle. Però mi è sembrato uguale a mille film sulla schiavitù, ad un certo momento non ne potevo più di indovinare cosa sarebbe successo nella scena successiva. Insomma, nonostante pareri contrastanti, a me non è piaciuto (non so se si era capito).
In mattinata c’è stata anche la proiezione di “Sing Street”, che recupereremo domani, mentre nel pomeriggio l’attenzione è stata monopolizzata da Napoli-Roma, aiutata anche da un’assenza quasi totale di proiezioni alle ore 15. Insomma, è stato come se avessero inserito la partita della Roma nel programma del Festival, anche se invece di proiettarla in sala è stata proposta da un volenteroso giornalista in una sala stampa gremita, dove in molti sono passati anche solo per un minuto per aggiornarsi sul risultato della partita. Ok, non dovrei parlare di calcio in un diario che parla della giornata del Festival, ma che diamine, domani è il mio compleanno, concedetemi questo piccolo piacere. Eh sì, domani sono 35 anni per chi vi scrive da 11 edizioni consecutive del Festival sempre su queste pagine, sarà una giornata speciale (tre film). La sveglia, implacabile, è sempre alle 7. Auguri.