Il grande freddo se n’è andato, al suo posto una piccola primavera invernale, che ci accompagnerà per mano verso la notte degli Oscar. A proposito di Oscar, febbraio è un periodo splendido per andare al cinema: c’è davvero tanto da vedere e se c’è una cosa che amo molto è prendermi un po’ di tempo per me stesso e andarmene al cinema da solo, in centro magari, per poi annettere all’esperienza cinematografica una bella passeggiata per Roma. Ma sto divagando. Dunque, a parte un paio di sortite in sala e un documentario su Netflix, il mio febbraio momentaneamente è stato composto da rewatch di film piuttosto recenti, ma che una seconda visione ha reso ancora più importanti nei miei pensieri. Andiamo a vedere di che si tratta.
La battaglia di Hacksaw Ridge (2016): Il nuovo film di Mel Gibson conferma la straordinaria bravura del regista nel girare scene di guerra, ma al tempo stesso conferma anche l’incredibile retorica con la quale la maggior parte dei registi statunitensi avvolge le sue pellicole. Vince Vaughn stile sergente Hartman di “Full Metal Jacket” sembra la parodia di se stesso e, per favore, levate il passaporto ad Andrew Garfield: come va in Giappone succedono casini (vedi “Silence”). Girato bene ma nel complesso così così.
Your Name (2016): Se dovessi scegliere un aggettivo per descrivere questo film, direi che è magico. Siamo tutti, sempre, alla ricerca di qualcosa. Ho un debole per i film d’animazione giapponesi con adolescenti turbati, ma questo va oltre le aspettative: quando cominci a credere che sia una storia d’amicizia/affetto/amore in realtà c’è un grande colpo di scena a cambiare le carte in tavola. Che bello. Voglio andare in Giappone.
Lost in translation (2003): Sulla scia della mia fissa per il Giappone ho rivisto dopo tanti anni il capolavoro di Sofia Coppola. Devo dire che si conferma un gioiello prezioso: un film di attimi, chimica, piccole emozioni. Solitudini che si cercano e che si incontrano. Un film splendido. L’ho già detto che voglio andare in Giappone?
Il caso Spotlight (2015): Alla seconda visione anche questo film conserva tutta la sua potenza. Niente è più coinvolgente di vedere qualcuno fare bene il suo lavoro. Continuo a pensare che Mark Ruffalo sia un attore decisamente sottovalutato. Il mio film dell’anno nell’ultima Top20.
Sarà il mio tipo? (2014): Rivisto a distanza di due anni, anche stavolta va confermato tutto ciò che di buono è stato già detto. Film sottovalutato, forse per il titolo (non eccezionale anche in originale, “Pas son genre”), forse per la locandina italiana un po’ scemotta, forse per il trailer, ma che si dimostra lucidissimo nel raccontare una storia d’amore tra due persone totalmente diverse, perché in ogni storia c’è sempre qualcuno che ama più dell’altro. La scena di “I Will Survive” è un piccolo capolavoro ed Emilie Dequenne è straordinaria. Da recuperare.
I am your father (2015): Documentario pescato su Netflix. La base della storia è interessante: David Prowse, l’attore che ha interpretato Darth Vader nella trilogia di “Star Wars”, prestò soltanto il suo corpo al personaggio. La voce era di un altro attore e il volto alla fine de “Il ritorno dello Jedi” di un altro ancora. Ma a dare corpo e fisicità ad uno dei personaggi più indimenticabili del cinema fu Prowse, che però è stato dimenticato da tutti. Il film rende giustizia all’uomo dietro il casco nero, con interviste e un “reboot” del finale di Episodio VI. Film carino ma deboluccio.