Recensione “Chiamami col tuo nome” (“Call me by your name”, 2017)

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L’estate è quella stagione in cui succedono cose che volano fuori dall’ordinario. Chiaro, anche nelle altre stagioni possono accadere fatti eccezionali, ma quando succedono d’estate hanno sempre un sapore diverso, più speciale forse, soprattutto quando si è adolescenti. Tutti noi conserviamo nel cuore un’estate in qualche località fuori città, dove il tempo sembrava essere sospeso e dove magari ci siamo innamorati per la prima volta. O forse per la seconda volta, che importa. Se per me poteva essere un’estate degli anni ’90, con la colonna sonora composta da Oasis e Cranberries, per il giovane diciassettenne di questo film, Elio, è stata l’estate del 1983, quando la radio passava l’ultimo singolo di Franco Battiato. Molti, se non tutti, sono sopravvissuti ad un’estate così, e poco cambia se nel film l’orientamento sessuale può essere diverso dal nostro o se sono differenti le località, gli accenti, i cibi.

Come dicevamo, sarà l’estate del 1983 a segnare la vita del giovane Elio, musicista diciassettenne colto e pieno di interessi. Siamo in un paese del nord Italia, la famiglia di Elio ogni estate ospita uno studente straniero che lavorerà con il padre, professore universitario, alla sua tesi di post dottorato. L’arrivo di Oliver, ventiquattrenne statunitense, sconvolge l’estate di Elio, che scoprirà lentamente di essere innamorato di lui.

“Chiamami col tuo nome”, film rivelazione di Luca Guadagnino, parla di amicizia, amore, distacco, delusione, ovviamente di omosessualità, ma lo fa con una semplicità e una leggerezza tale che è difficile non provare empatia per i suoi bellissimi personaggi: è una storia di tutti. L’Italia era diversa, la scena politica era diversa e la vita di paese è quella che è: sono le infinite possibilità offerte dalla passione (per una persona, ma anche per la musica, i libri) a mantenere aperte le porte della bellezza, della meraviglia, della purezza, prima che tutto si inaridisca, prima di scoprirci troppo vecchi per sorprenderci ancora. E allora vorremmo chiedere all’inverno di aspettare ancora un momento, ma lui è lì, prima o poi arriva, mettendo a nudo tutti i nostri punti deboli. Che sia per un americano che si chiama Oliver o per una ragazza del Sud Italia che si chiama non so, Ermenegilda, mi sa che ci siamo passati proprio tutti.

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