Recensione “Annientamento” (“Annihilation”, 2018)

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Il film comincia con un flashforward su Natalie Portman che sembra esser appena sopravvissuta a qualcosa di molto pericoloso. Non ci viene detto di più per il momento. Poco dopo, nel presente, c’è “Helplessly Hoping” di Crosby, Stills e Nash in sottofondo, c’è un dolore tangibile, recente, potentissimo, una sofferenza che aleggia in tutta la scena, ci aggancia, ci fa venir voglia di saperne di più. Questo è l’incipit del nuovo film Alex Garland (regista di “Ex Machina”), tratto dal romanzo omonimo di Jeff VanderMeer, caso piuttosto raro di distribuzione combinata tra cinema (ma solo in USA, Canada e Cina) e Netflix, nonostante i dubbi del regista, che aveva pensato la pellicola per il grande schermo (con i colori vivaci delle mutazioni, i dettagli al microscopio e via dicendo).

Oscar Isaac è l’unico soldato ad uscire vivo dall’Area X, una zona avvolta da una mutazione genetica che gli scienziati chiamano “Il Bagliore”. Nonostante riesca a tornare a casa da Natalie Portman, l’uomo è gravemente malato e non sembra esserci una cura per salvarlo. Nel tentativo di capire cosa si celi in questa natura contaminata e trovare una cura, la moglie decide di offrirsi volontaria, in quanto biologa, per una nuova missione all’interno dell’area.

Mentre guardavo il film ho pensato a tante cose, alcune c’entravano qualcosa, altre meno: mi sono venuti in mente “La Cosa”, “Arrival”, “Contact” e molti altri titoli. “Annientamento” però vive di una luce, o forse di un bagliore, tutto suo: la sua scienza è affascinante, le mutazioni genetiche sorprendenti, le sensazioni e le atmosfere sono suggerite e mai troppo sottolineate. Il mondo altro si trasforma così in un riflesso del nostro, dove a film concluso ti ritrovi ad interrogarti su ciò che hai visto, alla ricerca di un qualcosa che dia un senso a tutto: senza dubbio è un film sull’autodistruzione, sulla malattia, non è un caso se tutte le donne della squadra abbiano tutte un passato (o un presente) di tentati suicidi, perdite irrecuperabili o malattie terminali. Tutte quante si avventurano nell’Area per punirsi di qualcosa, o forse per riscattare in parte ciò che hanno perso. Garland è bravissimo, perché sa come alternare la tensione da mero horror con la profondità e l’intelligenza del film d’autore, accompagnandoci, seppur con qualche limite, in un viaggio alla letterale riscoperta di se stessi. E mentre Natalie Portman resta lì, seduta, interrogata dagli scienziati che come noi sono in cerca di risposte, lentamente capiamo che sì, “Annientamento” è proprio un bel film.

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