Due mesi fa, quasi per sbaglio, mi sono messo a guardare la prima puntata di “How I Met Your Mother”, un po’ per curiosità, giusto per ammazzare il tempo una ventina di minuti prima di passare ad altro: è andata a finire che mi sono visto nove episodi uno dopo l’altro. Proprio io che non ho mai amato le sitcom, che sono uno dei pochi a non sapere a memoria le battute di “Friends”, che ha sempre trovato irritante “The Big Bang Theory” e che, da questo punto di vista, non era mai andato oltre “Happy Days”. Due mesi sono bastati a completare nove stagioni, 208 episodi, lasciandomi adesso un’incredibile sensazione di vuoto, tipico di quando si passa molto tempo in compagnia di un gruppo di personaggi ai quali inevitabilmente ci si affeziona. Da quell’episodio pilota non sono più riuscito a smettere, sorprendendomi di quanto questo show potesse essere divertente e appassionante.
Come è risaputo e come è suggerito già dal titolo, la serie racconta le vicissitudini sentimentali e sociali che hanno portato il protagonista, Ted Mosby, ad incontrare la madre dei suoi figli. Alternandosi tra commedia e dramma grazie ad una scrittura brillante ed intelligente, capace di riprendere a distanza di anni situazioni citate o accadute in passato, “How I Met Your Mother” è uno show di quelli indimenticabili, in cui i rapporti si evolvono con il passare del tempo, dove un gruppo di trentenni che fatica ad uscire da un’eterna adolescenza è costretto inevitabilmente a fare i conti con l’arrivo dell’età adulta, con le sue responsabilità, i suoi impegni, le sue delusioni.
Impossibile guardare la serie senza trovare riferimenti con le nostre vite: la malinconia degli amori perduti, i racconti al bar del dongiovanni del gruppo, le ragazzate, gli addii, le sbronze, le situazioni imbarazzanti, i viaggi in macchina, le risate, le serate sempre insieme, il lavoro, il tempo che passa senza accorgersene, l’allontanamento, i grandi momenti in cui ci si ritrova… Ed è così che la serie scivola via attraverso nove stagioni in cui il tono, seppur in calo dopo le prime straordinarie annate, resta sempre ricco di spunti di interesse, di piccole-grandi lezioni di vita, accompagnato spesso da canzoni memorabili (da “Jersey Girl” cantata da Springsteen a “Inside of love” dei Nada Surf, fino a “500 miles” dei Proclaimers, una delle canzoni più iconiche della serie). Dopo il sorprendente finale resta così la malinconia per ciò che è successo in nove anni, in cui un affiatatissimo gruppo di amici è costretto dalla vita a vedersi sempre meno, in cui l’amore non sempre è sinonimo di lieto fine, in cui i sogni e i desideri devono sempre fare i conti, inevitabilmente, con la realtà. Da oggi, in questa piovosa giornata, incontrare un ombrello giallo per strada non sarà più la stessa cosa.