Festa del Cinema di Roma 2019 – Giorno 6

travolta

Dopo aver visto The Irishman e aver incontrato Martin Scorsese è davvero difficile scendere di livello. Ci puoi provare, ma di fronte ad un tipo di cinema che non solo non può giocare nello stesso campionato, ma che forse non è neanche lo stesso sport, puoi solo restare immobile, a contemplare la cima della montagna, pensando a quanto è stato bello esserci arrivati.

La Festa del Cinema comincia lentamente la sua discesa, che si concluderà sabato con il film di chiusura. Nell’aria c’è la consapevolezza e forse anche la rassegnazione di aver già visto il film più bello e che, da oggi in poi, ci si dovrà semplicemente accontentare di immagini che scorrono sullo schermo. C’era curiosità intorno a Waves, il film delle 9, che comincia quasi bene ma poi crolla, finendo per diventare una lenta agonia. Un ragazzo nero di buona famiglia, talento della lotta greco-romana (che in America chiamano wrestling, ma che è diverso dal wrestling che conosciamo in Italia) deve fare i conti con un paio di incidenti che fanno collassare il suo mondo: si infortuna gravemente alla spalla, compromettendo la borsa di studio per il college, e la sua ragazza rimane incinta. Potrebbe anche piovere in effetti, ma non succede, in compenso sua sorella si deve accollare una scampagnata con il ragazzo verso l’ospedale dove il padre di lui è malato terminale. Tanta allegria insomma, ma va anche bene la tragedia, va bene tutto, ma non la retorica, la spettacolarizzazione del dolore e i discorsi filosofici sulla vita o sulla famiglia ogni 30 secondi. Un film che mi ha spremuto ogni goccia di pazienza, a tal punto da rinunciare alla proiezione successiva, Judy, che mi dicono sia un buon biopic con un’ottima Renee Zellweger che interpreta Judy Garland. Tuttavia non è proprio il mio genere, quindi non sono troppo dispiaciuto di essermelo perso.

Dopo il pranzo e un paio di scatti per il progetto Film People, per le vie dell’Auditorium mi imbatto nei fratelli Dardenne e resto fermo imbambolato a vedere questi due signori che nella loro vita hanno soltanto vinto una manciata di Palme d’Oro a Cannes. Nessuno li ferma per una foto o un saluto, niente, semplicemente camminano tranquilli e io sempre lì, fermo, a contemplarne la grandezza. A parte questo, il vero mattatore della giornata è stato il meraviglioso John Travolta, che si è rivelato una persona strepitosa, affabile, piacevole, disponibile, felice e soprattutto grata. Grata alla Festa per l’invito, grata ai suoi fan per l’affetto, che non dà per scontato e si vede. Gli brillano gli occhi e si può dire: John Travolta ha gli occhi buoni. Il suo incontro è un clamoroso album di ricordi, di aneddoti, di storie: come quando vide a 5 anni “La Strada” di Fellini e, vedendo Gelsomina morta, scoprì la morte di crepacuore, un dolore che non avrebbe mai voluto far provare a nessuno nella vita, ma che invece rivela di aver fatto provare a Terrence Malick, che voleva proprio Travolta per “I giorni del cielo” e, non avendolo potuto avere, non ha più fatto film per 17 anni. Un’altra bella storia è che “Ufficiale e Gentiluomo” era stato scritto per lui, che poi ha dovuto rinunciare al ruolo ancora in favore di Richard Gere. E indovinate un po’? John Travolta ha rifiutato per ben tre volte di recitare in “Chicago”, lavoro che poi è andato, incredibile, di nuovo a Richard Gere (che ha praticamente fatto una carriera in base ai rifiuti di Travolta). Il buon John si racconta con il sorriso stampato sul volto, ogni tanto si volta verso il pubblico e sorride, alza il pollice, saluta. Continua a raccontare del suo provino per “Jesus Christ Superstar”, dove però era troppo giovane per interpretare Gesù: fu così che il produttore scrisse un memorandum per ricordarsi in futuro di quel giovane attore, che poi avrebbe preteso per “La Febbre del Sabato Sera” e “Grease”. Il messaggio? Se qualcosa ti va male, può anche darsi che tu stia piantando un seme per qualcosa di ancor più grande. E poi il racconto sul look di Vincent Vega in “Pulp Fiction”, dove è stato John Travolta, di ritorno da un viaggio ad Amsterdam, a suggerire il look capellone del personaggio (contro il parere iniziale di Quentin Tarantino), che nella storia era appena tornato da un periodo nei Paesi Bassi. Il plot twist della giornata è il direttore Antonio Monda che si inventa quasi sul momento un premio come Miglior Attore a John Travolta per l’interpretazione in The Fanatic, un film che qui non è stato proiettato (e non sarà proiettato fino a domenica) che vede l’attore nella parte di uno stalker. A fine incontro John Travolta ripete ciò che aveva già fatto sul red carpet: si ferma a firmare autografi e a farsi foto con TUTTI e TUTTE, che poi è anche il motivo del clamoroso ritardo dell’incontro, cominciato con 40 minuti circa di ritardo perché, per usare le parole di Monda, “è impossibile tenerlo lontano dall’affetto dei suoi fan”.

Domani con tutta probabilità sospenderò il diario per il semplice motivo che 1) devo restare a casa a lavorare, 2) non ci sono film a mio parere abbastanza interessanti da valere la pena del viaggio (dopo una settimana di sveglie alle 7 comincia a insinuarsi il fattore “sti cazzi”, con cui vengono bollati molti film che al secondo o terzo giorno avrei comunque visto). Se però riesco a togliermi un po’ di lavoro al mattino e ho tempo il pomeriggio, non escludo un salto all’Auditorium dopo pranzo, per sondare il terreno e per vedere se c’è qualcosa che posso recuperare (tipo il numero di telefono di Alexandra Daddario, ah no..). Per domani quindi il diario è in forse, ma sicuramente ci sarà giovedì, giorno di un appuntamento per me caro: arriva Western Stars di Bruce Springsteen. Se poi verrà pure il Boss mi troverete steso per terra adorante (sto scherzando, Bruce non sarà a Roma stavolta). Buonanotte.

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