Festa del Cinema di Roma 2019 – Giorno 5

Quinto giorno di Festa del Cinema: solitamente il lunedì è necessariamente un giorno moscio, dopo i fasti del weekend, ma oggi di moscio non c’è stato niente, a partire dal traffico del Lungotevere al mattino, che mi ha bruscamente riportato alla realtà. La proiezione stampa di The Irishman era stamattina alle 9 e l’obiettivo del giorno era di arrivare all’Auditorium entro le 8.30 per riuscire ad accaparrarsi i posti migliori (anzi, i posti e basta, vista la quantità di persone che non sono riuscite ad entrare in sala, per cui è stato deciso di fare una proiezione bis al Teatro Studio alle 9.30).

Nonostante la mia partenza intelligente alle 7.50, non riesco ad evitare il traffico perenne del Lungotevere, che si potrebbe quasi definire leggendario, special modo il lunedì mattina. Ed è così che il mio arrivo all’Auditorium non è registrato prima delle 8.34, motivo per cui non riesco a trovare i miei posti preferiti (laterali, per stendere le gambe, visto che Renzo Piano, che non malediremo mai abbastanza, ha progettato delle sale con seggiolini praticamente attaccati, neanche fossimo su un aereo della Ryanair). Riesco comunque a sedermi in una strepitosa fila alta e centrale, che visti i chiari di luna non era assolutamente una cosa scontata. La consapevolezza è però agghiacciante: dovrò restare seduto su una poltroncina stretta e scomodissima per le prossime 3 ore e mezza. Non importa, per Scorsese farei questo e molto altro, questo film lo aspetto talmente tanto che me lo vedrei pure capovolto.

La mattinata comincia alla grande, prima del film la clip scelta è quella della coda del cinema con McLuhan in “Io e Annie” e la sala viene giù dalle risate. Poi comincia il film e mi batte forte il cuore. 10 secondi di orologio, 10 cacchio di secondi e stai già immerso in un film di Martin Scorsese: una lunga carrellata su un corridoio e in sottofondo una canzone anni 50 (“In the still of the night” dei Five Satins). Non potete capire il livello di emozione, o forse sì, ma è comunque una cosa bellissima. Sul film non dirò nulla visto che è già online la recensione, confermo solo che mi è piaciuto moltissimo, che 3 ore e mezza sono volate e che più passano i minuti, più cresce.

All’una e un quarto è poi arrivato lui, Martin Scorsese in persona, che ha incontrato i giornalisti e ci ha parlato di molte cose: degli effetti speciali, di Netflix, degli attori. Scorsese è una di quelle persone che ascolteresti per un giorno intero, ogni volta che apre bocca dispensa perle, aneddoti, storie e opinioni che ti lasciano lì, imbambolato, ad ascoltare. Mi è piaciuto in particolare il suo intervento a proposito di chi gli rinfacciava di aver fatto un film per una piattaforma televisiva e non per la sala cinematografica: “Il modo migliore per fruire un film sarà sempre la sala, ma l’importante è che i film vengano fatti e senza Netflix io questo film non lo avrei mai fatto”.

Nel pomeriggio, dopo aver scritto la recensione del film in sala stampa, mi sono concesso una birretta al chiosco dell’Auditorium, dove ho incrociato il bravissimo Ciro D’Emilio, regista di Un giorno all’improvviso, prima di mettermi in fila per la replica di La Belle Epoque, che ieri mi ero perso e che tenevo molto a recuperare. Il film di Nicolas Bedos conferma la bravura dei francesi nel raccontare l’amore: la sua operazione nostalgia riporta Daniel Auteil in una straordinaria messa in scena che lo riporta al giorno in cui ha conosciuto la sua attuale moglie (Fanny Ardant), per riscoprire com’è stato innamorarsi di lei la prima volta. La messa in scena è organizzata da una società gestita da Guilleume Canet, che offre ai suoi clienti viaggi nel tempo grazie all’uso di set perfettamente dettagliati e centinaia di attori e comparse: tu puoi così interpretare Maria Antonietta durante una serata a Versailles, esplorare la Parigi di Hemingway o chiunque altro in qualunque epoca, compreso te stesso in un giorno del tuo passato. A proposito: mi sono perdutamente innamorato di Doria Tillier e sfido chiunque a non restarci secco dopo averla sentita cantare “Me and Bobby McGee” di Janis Joplin. In tutto ciò mi piacerebbe domandare a Canet se può gentilmente farmi rivivere il 17 giugno 2001, quando la Roma ha vinto lo scudetto. Mi informerò.

In fila per il film ho ascoltato qualche altra interessante vocetta di corridoio, che segnala Deux di Filippo Meneghetti come uno dei film più interessanti della Festa, un esordio cinematografico strepitoso a quanto pare, anche se temo che non riuscirò più a recuperarlo. Domani, se John Travolta non ritarda troppo la conferenza stampa, ci proverò. Ah sì, domani è il giorno dell’incontro ravvicinato con Tony Manero, o Vincent Vega se preferite: John Travolta arriva all’Auditorium e nelle orecchie sento già le voci acute e il ritmo martellante dei Bee Gees.

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