Recensione “Storia di un matrimonio” (“Marriage Story”, 2019)


Immaginatevi la scena. Sono al Nuovo Sacher di sabato pomeriggio e c’è Nanni Moretti seduto proprio davanti a me. Sui titoli di coda ho quei brividi tipici di chi sta per cedere alla commozione e vedo davanti a me Moretti che cerca di asciugare le lacrime con le dita. Fuori dalla sala c’è una Roma autunnale, che profuma della pioggia dei giorni scorsi e vibra in attesa del movimento del sabato sera. Mi incammino verso casa con quel bisogno di silenzio che mi avvolge ogni volta in cui quel che ho visto mi ha riempito così tanto da non riuscire ad aprir bocca, per il timore che le emozioni possano scivolare via. Questo è l’effetto che fa l’ultimo film di Noah Baumbach, che raggiunge la consacrazione definitiva con quel che si può considerare il suo film più maturo.

Charlie e Nicole sono sposati da molti anni e lavorano insieme in una compagnia teatrale di successo, a New York. Hanno un bambino, Henry, ma il loro matrimonio ha smesso di funzionare, motivo per cui cercano la maniera meno dolorosa per separarsi. Nicole torna a Los Angeles dalla sua famiglia dove viene ingaggiata in una serie tv, Charlie cerca di barcamenarsi tra il lavoro e le visite al figlioletto, dall’altra parte degli Stati Uniti. In mezzo a tutto ciò, gli avvocati si danno battaglia per l’affidamento del bambino.

Due giganti del calibro di Adam Driver e Scarlett Johansson gareggiano in bravura per un paio di splendide ore, alternando il veleno alla tenerezza, l’odio all’amore, mostrando i due volti di una separazione dolorosa (splendida la scena del cancello che si chiude sui loro sguardi), che sta per cambiare le loro vite in maniera dirompente. La messa in scena di Baumbach non è mai ricattatoria, il regista newyorkese dribbla con maestria ogni possibile scivolone, conducendoci per mano fino ad una conclusione meravigliosa, che non poteva davvero essere più perfetta. Uno dei film più belli dell’anno.

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