Recensione “Jojo Rabbit” (2019)

Il neozelandese Taika Waititi adatta, dirige, produce e interpreta una spassosa e al tempo stesso tenera commedia nera sul nazismo, raccogliendo consensi e applausi in tutto il mondo, da Toronto a Torino. Quello raccontato da Waititi è un nazismo volutamente macchiettistico, una collezione di individui buffi e ridicoli, ai quali il piccolo protagonista è devoto, prendendo inizialmente parte anch’egli alla fiera della goffaggine.

Jojo ha dieci anni e vive da solo con la madre, dopo aver perso il padre e la sorella. Il ragazzino appartiene alla gioventù hitleriana ed è devoto a Hitler (che è anche l’amico invisibile che raccoglie le sue confidenze). Un giorno scopre nascosta in casa sua Elsa, una giovane ebrea con cui, dopo la diffidenza e la paura iniziale, entra in confidenza. La guerra è agli sgoccioli e la Germania è sull’orlo del precipizio: Jojo deve cominciare a pensare con la sua testa e capire da quale parte stare. L’amicizia con Elsa e la leggerezza di sua madre lo aiuteranno a capire molte cose su ciò che gli accade intorno.

“Jojo Rabbit” è uno di quei film che si potrebbero paragonare a un diesel: all’inizio è ridicolo in maniera quasi forzata, ma è anche chiaro che sia una scelta necessaria per presentare il contesto ma soprattutto il registro con cui si vuol raccontare la storia (tratta dal romanzo “Il cielo in gabbia” di Christine Leunens). Già dal secondo atto però il racconto decolla, con il bellissimo rapporto tra Elsa e Jojo e con le gag alternate invece a momenti più dolci ed emozionanti. Sicuramente è un film dedicato ad un pubblico un po’ più giovane del sottoscritto ma ciò che vuole comunicare non ha età: “Vaffanculo Hitler!” vale per tutti, sempre, in qualunque momento della vita. Così come ballare sulle note di Bowie…

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Sam Simon ha detto:

    Sempre vaffanculo ai nazisti! Ben vengano film che lo insegnano a pubblici giovani! :–)

    Piace a 1 persona

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