
Uno non fa in tempo a sbattere le palpebre che si trova senza neanche accorgersi a metà giugno. La mia fase da film vecchi in bianco e nero sembra essere passata, anche se spero di riabbracciarla prima dell’estate (ho già un paio di titoli in programma). Estate: non so voi ma la velocità con cui siamo arrivati alla fine della primavera mi mette a disagio e mi confonde più di quanto vorrei ammettere. Non sono ancora pronto per i tormentoni dei cantanti latini. In compenso, da domani riaprono i cinema: in bocca al lupo agli esercenti, penso che ne abbiano davvero bisogno.
Paris, Texas (1984): La voglia di viaggiare che ti mettono alcuni film di Wenders non te la mette nessuno. Questo film mi ha riportato ad una vecchia abitudine che avevo ormai perso da circa 20 anni: quella di guardarmi due volte lo stesso film nel giro di tre giorni. Non potevo farne a meno, non volevo allontanarmi da quei luoghi, da quei personaggi, da quei tramonti incredibili. Harry Dean Stanton viene raccolto dal fratello dopo 4 anni di vagabondaggio, deve riconquistare la fiducia del suo figlioletto, che ormai ha 8 anni e scoprire dove sia finita la sua amata Jane (Natassja Kinski), anche lei sparita ormai da 4 anni. Tre film in uno, non aggiungo molto altro per non rovinare la visione a chi, come me fino ad una settimana fa, avesse commesso l’errore di non averlo mai visto prima. Ho un libro di Wenders a casa, “Once”, che è una raccolta di polaroid scattate dal regista durante la ricerca delle location per i suoi film: le immagini di “Paris, Texas” mi hanno sempre emozionato, devono esser state loro a portarmi a guardare il film. Qui c’è davvero tutto ciò che amo nel cinema: vorrei fotografare ogni fotogramma e tappezzarci casa.
Bronx (1993): Esordio dietro la macchina da presa per Robert De Niro, “Bronx” è uno dei classici anni 90 che si riguardano sempre con una certa nostalgia, specialmente perché quando l’ho visto la prima volta avevo più o meno l’età di Calogero nel film. Storia di formazione italo-americana: un ragazzo cresce nel Bronx nell’onestà e rettitudine impartita dal papà Lorenzo (Robert De Niro) e nella fascinazione e nel rispetto nei confronti del boss del quartiere, Chazz Palminteri. Il conflitto tra due padri, ognuno a suo modo importante, è al centro dello sguardo di un ragazzo alle prese con l’adolescenza, il primo amore, le amicizie di un quartiere difficile. Film scritto dallo stesso Chazz Palminteri, il cui vero nome è proprio Calogero Lorenzo Palminteri. Una volta, uscendo con una ragazza, ho fatto anche io il test dello sportello: l’ha incredibilmente superato, ma poi, dopo quei giorni, non l’ho mai più rivista in vita mia. Al giorno d’oggi, con il telecomando e la chiusura centralizzata, tutto questo non sarebbe più possibile, capite ora perché parlavo di “Bronx” come di un classico film che si riguarda con nostalgia?
A Venezia… un dicembre rosso shocking (1973): Che belli che sono i thriller/horror europei degli anni 70 (a parte i titoli italiani imbarazzanti, in originale il film si intitola “Don’t Look Now”)! Nicolas Roeg (già direttore della fotografia per Truffaut in “Fahrenheit 451”) si porta Julie Christie e Donald Sutherland a Venezia, città romantica per eccellenza, qui trasformata in un luogo inquietante, cupo e spaventoso. Nel film la coppia ha appena perso la figlia piccola in un incidente, così Sutherland si fa accompagnare dalla moglie a Venezia, dove l’uomo sta lavorando ad alcuni restauri, per stare insieme ed elaborare il lutto. Qui la donna incontra due strambe sorelle inglesi di cui una non vedente e per di più sensitiva, che le rivela di vedere sua figlia sorridere tra loro e soprattutto la avvisa di un pericolo. Dario Argento ai tempi aveva girato già la sua splendida trilogia degli animali e difatti la sua influenza su alcune sequenze appare evidente (il finale da brividi sembra uscito da un suo film). Ottavo film più bello della storia del cinema britannico del secolo scorso secondo una lista compilata dal BFI: ci sta tutto. Da sottolineare lo spettacolare uso del montaggio, audace, originale, potentissimo e poi quel colore rosso così vivo in una fotografia di altissimo livello. Consigliatissimo.
The Million Dollar Hotel (2000): Vent’anni fa, quando il film uscì, fu un piccolo caso cinematografico. Ricordo che a scuola mia se ne parlava tanto, tra chi lo riteneva una “cagata pazzesca” e chi invece lo aveva trovato geniale. Io lo noleggiai con un amico ed ebbi l’impressione che fosse un film parecchio confuso. In breve la trama è questa: in un albergo di infima qualità un uomo muore cadendo dal tetto. Omicidio o suicidio? Mel Gibson viene chiamato ad indagare sui bizzarri inquilini dello stabile. Rivedere oggi questo film scritto da Bono degli U2 e diretto da Wim Wenders mi ha fatto sicuramente apprezzare di più alcune cose (prettamente tecniche, come la regia e ancor di più la fotografia), ma per il resto il giudizio sul film non è cambiato: confuso, si sforza e si arrabatta per apparire geniale senza riuscirci. Lo stesso Mel Gibson durante una conferenza stampa in Australia dichiarò che si trattava di un film noioso (salvo pentirsene amaramente in seguito, addirittura definendosi un idiota per aver detto una cosa del genere). Da segnalare la colonna sonora, magnifica, firmata da U2 e Brian Eno.
Soffocare (2007): Più celebre come buon caratterista che come regista (solo due film all’attivo, qui all’esordio), Clark Gregg si cimenta nell’adattamento del romanzo omonimo di Chuck Palahniuk (sì, quello di “Fight Club”) con risultati alterni. O meglio, per quanto riguarda l’adattamento i risultati sono buoni (Sam Rockwell è strepitoso), il punto è che il materiale di partenza non era proprio incredibile: ho ritrovato in casa il romanzo che mi era stato regalato un secolo fa da non so più chi e me lo sono letto, trovandolo a tratti molto divertente, a tratti ripetitivo e non particolarmente interessante. Il film ha gli stessi pregi e purtroppo gli stessi difetti. Da segnalare la presenza di Gillian Jacobs un anno prima di sfondare in tv con “Community” (di cui vi parlerò nel prossimo paragrafo).
SERIE TV: Space Force ha confermato ciò che avevo notato sin dai primi episodi, ovvero un ottimo potenziale non espresso pienamente. Dieci episodi godibili, a tratti anche piuttosto divertenti, ma al contrario dei razzi della Space Force ha dato continuamente l’impressione che stentasse a decollare. Eccellenti Malkovich e Carell, alcune trovate sono fantastiche, ma per il resto è un po’ così così: il problema è che da colui che ha creato “The Office” e dal suo protagonista ti aspetti sempre qualcosa che ti faccia piegare in due dalle risate, mentre in questo caso è un prodotto decisamente molto diverso. Quanto a Community sono arrivato alla terza stagione, mi sta piacendo anche se rispetto ad altre sit-com storiche ha un difetto fondamentale: non vorrei mai frequentare quei personaggi! Alcuni episodi però sono davvero strepitosi, soprattutto il modo in cui riesce ad omaggiare qualunque genere cinematografico, dal western all’horror, dal musical alla fantascienza. Non mi ha fatto venire l’ansia da binge-watching ma un episodio prima di andare a nanna è ormai un must della mia routine. Per il resto, come già detto in precedenza e come ripeterò nelle prossime due settimane, aspetto la terza e ultima stagione di Dark più di una qualunque finale di Champions League.

Dei titolo molto interessanti anche se ricordo con molta più chiarezza A Venezia…
Comunque sì, noi italiani con i titoli abbiamo fatto veramente pena.
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