
Come ogni anno a luglio, vi scrivo dalla mia residenza estiva in quel di Monopoli, in Puglia. Devo ammettere che tra le vacanze, il lavoro al pc e quest’estate piena di calcio, il tempo per vedere i film si è drasticamente ridotto: le buone abitudini della quarantena sembrano ormai perse, mi sono ributtato a capofitto nell’indolenza di chi ha tante cose da fare e non ne fa nessuna, o ne fa poche e male. Pazienza. La buona notizia di questo capitolo è che sono tornato al cinema, anche se all’aperto: una di quelle emozioni che è difficile da raccontare per chi è innamorato di quello schermo, di quelle immagini che si muovono e di centinaia di occhi spalancati su di esse.
Chinatown (1974): La prima volta che l’ho visto era tipo nel 2006, per un corso di sceneggiatura all’università, ed ero insieme a una ragazza che mi piaceva, a casa sua. Ero talmente emozionato all’idea di vedere il film con lei che persi completamente di vista la trama, motivo per cui il giorno dopo me lo sono dovuto rivedere, apprezzandolo pienamente. Da allora ho rivisto questo film di Polanski una decina di volte, amandone ogni sfumatura di colore, ogni inquadratura, ogni smorfia di Jack Nicholson. Il film è un limpido omaggio un omaggio al giallo hard boiled, specialmente a quello californiano di Raymond Chandler, con personaggi che ricalcano quelli tipici del genere: il detective, ex-poliziotto cinico ma in fondo idealista, la dark lady ambigua e sensuale, il potente patriarca con gli scheletri nell’armadio, la polizia corrotta e politicamente controllata, il quartiere etnico e ricco di misteri (Chinatown, appunto). Una curiosità (con spoiler): durante la lavorazione del film si registrò un marcato disaccordo tra lo sceneggiatore Robert Towne e il regista, con il primo che voleva dare al film un lieto fine, mentre il regista, ancora sotto shock per la morte della moglie Sharon Tate, sentiva nelle sue corde più un finale tragico. Alla fine, come sappiamo, la ebbe vinta Polanski: “Forget it Jake. It’s Chinatown”. Capolavoro assoluto.
Tutta un’altra musica (2018): Avevo visto “Juliet Naked” un anno e mezzo fa a bordo di una nave da crociera. Mi trovavo lì per lavoro e mi guardavo intorno un po’ come David Foster Wallace in “Una cosa divertente che non farò mai più”. Il mese scorso ho riletto nuovamente il libro di Nick Hornby da cui è tratto il film, libro bellissimo tra l’altro, e ho deciso così di vedere nuovamente la commedia di Jesse Peretz. Film ideale per una serata tranquilla, senza pensieri, dove innamorarsi di un anonimo paesino di mare in Inghilterra e delle nevrosi dei suoi personaggi. E poi c’è Ethan Hawke nei panni di una ex rockstar, come si fa a non amarlo?
Notre Dame (2019): Il mio grande ritorno al cinema dopo il lockdown. L’occasione è arrivata grazie al festival del cinema francese Rendez Vous, all’arena del Nuovo Sacher, dove Nanni Moretti ha introdotto questo grazioso film di Valerie Donzelli, già attrice e regista dello splendido “La guerra è dichiarata”. Si tratta di una commedia romantica senza particolari ambizioni, dove una giovane donna si arrabatta tra i figli, due uomini e un progetto d’architettura volto a ridisegnare il sagrato della cattedrale di Notre Dame. In alcuni momenti si ride di gusto, in altri si respira a pieni polmoni la leggerezza di quel tipo di cinema per cui i francesi sono maestri. Non è un film memorabile, ma è il meglio che poteva capitare per ritrovare il piacere di andare al cinema. Bella serata.
Il Sorpasso (1962): Una delle più grandi commedie di sempre, non solo italiane, ma del cinema in generale. Erano tanti anni che non riguardavo questo capolavoro di Dino Risi, che soltanto un anno prima aveva realizzato un altro film immenso: “Una vita difficile”. Anche se gran parte delle battute le conosco a memoria è impossibile non ridere come se fosse la prima volta. Gassman e Trintignant ci insegnano forse una verità assoluta: meglio essere cicala che formica? Capolavoro senza tempo. Il giorno dopo mi sono fatto 5 ore e mezza di macchina per raggiungere Monopoli da Roma, non nego che in un paio di occasioni mi è venuta voglia di avere il clacson della mitica Aurelia di Gassman e fare le corna a qualche automobilista.
Schegge di paura (1996): Buon thriller di Gregory Hoblit, reso celebre soprattutto dalla straordinaria interpretazione, all’esordio sul grande schermo, di Edward Norton, nei panni di un giovane piuttosto spaventato e indifeso che viene accusato di un efferato omicidio. A difenderlo ci pensa il principe del foro Richard Gere, alle prese con un caso più unico che raro. Molto bello il colpo di scena finale, ma è un film che per gran parte del tempo viaggia su binari più o meno tranquilli, senza grandi emozioni. Per i nostalgici degli anni 90.
Homemade (2020): Raccolta di 17 cortometraggi girati durante il lockdown da altrettanti registi internazionali. Tra ottimi lavori e bellissimi racconti, che spaziano davvero su tantissimi generi, spiccano in particolare i due gioielli firmati da Paolo Sorrentino e Pablo Larrain: due cortometraggi assolutamente imperdibili. I corti sono su Netflix e sono davvero da vedere.
SERIE TV: Ho finalmente finito Community, una delle sitcom più sopravvalutate di sempre. Ammetto che le prime tre stagioni sono abbastanza belle, con alcuni episodi di puro genio (e le tantissime citazioni cinematografiche sono una goduria), ma le ultime tre stagioni sono una porcata incredibile, noiose, con un’emorragia di personaggi principali quasi senza precedenti e una mancanza di buone idee che potrebbe battere il record olimpico se “non avere buone idee” fosse una disciplina sportiva. Per il resto non ho serie da vedere durante l’estate, probabilmente sfrutterò il mio soggiorno estivo per recuperare un bel po’ di film della mia lista. Ho però deciso che entro la fine dell’estate comincerò il recupero più necessario di tutti: devo assolutamente cominciare a vedere “I Soprano”, vi terrò aggiornati.
