Capitolo 302

Un capitolo fa avevamo ancora con noi Sean Connery e Gigi Proietti. Un attimo dopo e due giganti come loro (ognuno a modo suo) non ci sono più. Sean Connery per me, nonostante tutti i grandi ruoli, sarà sempre il burbero poliziotto irlandese Jim Malone de “Gli Intoccabili” (anche se Guglielmo da Baskerville o il professor Henry Jones sono anche due ruoli impossibili da dimenticare). Non ho citato James Bond perché onestamente non sono un fan della saga, nonostante riconosca l’importanza e il suo enorme ruolo nell’immaginario collettivo mondiale. Gigi Proietti è invece impossibile da raccontare in poche righe: per noi romani era come un parente, uno di famiglia, di casa, sin da bambini lo abbiamo citato talmente tante volte tra Mandrake, Toto e il Cavaliere Nero (e non solo) che negli ultimi 50 anni gli saranno fischiate le orecchie per 24 ore al giorno. E poi, al di là della bravura come attore e artista, spesso dimentichiamo la sua grandezza come doppiatore: senza Gigi Proietti lo storico urlo “Adrianaaaaa”, al termine dell’incontro tra Rocky e Apollo Creed, non sarebbe stato lo stesso. Per completare le notizie di attualità: Biden ha vinto le elezioni, anche se io ormai mi aspetto di vedere alla Casa Bianca solo e soltanto Jed Bartlet.

Lontano Lontano (2019): Gianni Di Gregorio ha un modo tutto suo di raccontare le cose e lo trovo adorabile. I suoi film non saranno capolavori (anche se “Pranzo di Ferragosto” ci si avvicina…), ma il suo modo di raccontare queste storie di pensionati dal cuore d’oro lascia sempre un sorriso stampato in viso. In questo suo ultimo lavoro (migliore del precedente “Buoni a nulla”, ma inferiore al già citato “Pranzo di Ferragosto” e “Gianni e le donne”), tre pensionati decidono di andare a vivere all’estero in un Paese dove pensano di poter avere una vita più agiata, rispetto a quella piena di stenti che trascorrono a Roma. C’è una tenerezza e una malinconia di fondo (accentuata dal fatto che si tratta dell’ultima interpretazione di Ennio Fantastichini, scomparso poco dopo le riprese del film) da rendere il tutto assai piacevole, decisamente imperfetto, ma godibile nella sua fiera di buoni sentimenti.

Kajillionaire (2020): Il titolo si riferisce a qualcuno che è decisamente benestante: non è di certo la condizione in cui si trova questa non proprio funzionale famigliola, che vive di truffe e furtarelli pur di campare. Al centro della storia la figlia Evan Rachel Wood (irriconoscibile), ragazza trattata dai genitori Richard Jenkins e Debra Winger al pari di una complice più che come una figlia. L’incontro con un’altra ragazza, Melanie, cambierà le carte in tavola fino ad un finale davvero meraviglioso (che tira decisamente sù un film fino a quel momento interessante ma non strepitoso). I riferimenti alti per questo film potrebbero essere “Affari di Famiglia” di Kore’eda e “Parasite” di Bong Joon Ho, ma con molta meno estetica autoriale: è solo il terzo lungometraggio per Miranda July, celebre soprattutto per il suo folgorante esordio “Me and You and Everyone we Know”. Da vedere.

On the Rocks (2020): A Sofia Coppola sembrano piacere molto le storie a due personaggi. Penso ovviamente a “Lost in Translation” e a “Somewhere”. Qui ritroviamo Bill Murray e il rapporto tra padre e figlia, in una commedia senza dubbio ben realizzata che però non ricorderemo di certo come uno dei suoi film più memorabili. Bill Murray e la figlia Rashida Jones (la Karen Filippelli di “The Office”!) indagano segretamente sul marito di lei, sospettato di infedeltà coniugale: è la scusa buona per passare un po’ di tempo insieme ma soprattutto per lasciare a Bill Murray la possibilità di gigioneggiare a ruota libera, che paradossalmente è forse uno dei difetti del film, affidato più alla verve del comico che ad una scrittura che gli permetta di tirar fuori il meglio di sé. Pazienza se il finale si capisce già dopo dieci minuti, vedere il buon Bill su un’Alfa Romeo Duetto (omaggio a “Il Laureato”?) vale il prezzo di un fantomatico biglietto, se solo si potesse ancora andare al cinema. Carino.

7 Psicopatici (2012): Gianni Di Gregorio ha fatto 4 film, mentre come abbiamo visto sono 3 quelli di Miranda July. Sono 3 anche per Martin McDonagh, che in mezzo a due capolavori (“In Bruges” e “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri”) realizza questo pasticcio pulp dal sapore tarantiniano. Colin Farrell deve scrivere la sceneggiatura su un film incentrato su sette psicopatici: è in crisi, quindi si fa aiutare dall’attorucolo Sam Rockwell (che per arrotondare rapisce cani per poi intascare la ricompensa restituendoli ai proprietari) e da quel povero diavolo di Christopher Walken. I tre si ritrovano alle calcagna il gangster Woody Harrelson, a cui è stato rubato il cane. Lo sceneggiatore trova l’ispirazione per finire lo script, ma ora la sua priorità è diventata non farsi ammazzare. Cast di volti celebri a profusione, McDonagh cerca di imitare Tarantino e finisce in confusione totale. Qualche risata qua e là, ma niente di trascendentale.

Il Ladro di Orchidee (2002): Charlie Kaufman inizialmente avrebbe dovuto scrivere un copione basato sul saggio “Il ladro di orchidee” di Susan Orlean: durante quest’operazione però si ritrovò più volte in crisi, al punto che la sceneggiatura si trasformò lentamente in un film biografico su due sceneggiatori gemelli alle prese proprio con l’adattamento del romanzo. Il risultato è un metafilm straordinario sul rapporto tra la scrittura, i libri di riferimento e il cinema, con un Nicolas Cage al (doppio) ruolo che vale una carriera. Il fratello gemello Donald è stato inventato da Charlie Kaufman, che lo ha anche accreditato come co-sceneggiatore (il film tra l’altro è dedicato alla sua memoria!). Un film straordinario (diretto da Spike Jonze) che ha consacrato Charlie Kaufman nell’Olimpo dei più grandi sceneggiatori, prima ancora del suo capolavoro definitivo arrivato due anni più tardi, con cui vinse finalmente l’Oscar: “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”.

Stalag 17 (1953): Nei quattro anni che intercorrono tra “Viale del Tramonto” (1950) e “Sabrina” (1954), Billy Wilder realizza altri due film. Il dramma a tema giornalistico “L’asso della Manica” (1951) e soprattutto un film di guerra un po’ alla Lubitsch, “Stalag 17” (1953). Il film è bellissimo, dal forte impianto teatrale (è infatti tratto da un’opera di Broadway a sua volta basata sulla reale esperienza da prigionieri dei due drammaturghi Bevan e Trzcinski). Alcuni soldati americani sono tenuti in un campo di prigionia nazista come prigionieri di guerra. Tra di loro c’è una spia, un infiltrato che rivela alle autorità del campo tutte le iniziative e i piani di fuga dei prigionieri. Ingiustamente accusato di essere la spia, William Holden (nel ruolo che gli valse l’unico Oscar della sua carriera), dovrà scoprire la vera identità dell’informatore allo scopo di riqualificare la sua immagine e di salvare i suoi compagni. In mezzo al dramma c’è spazio per la commedia, per le risate, per la leggerezza, in un film che non solo riesce ad appassionare grazie alle sue vicende, ma che diverte moltissimo grazie alla simpatia dei personaggi. Da recuperare subito.

Good Bye Lenin! (2003): Se penso ai film più belli e geniali del primo decennio di questo secolo, uno dei titoli che mi vengono in mente è sempre quello di uno dei più grandi successi del cinema tedesco, “Good Bye Lenin!” di Wolfgang Becker, che racconta la storia di una famiglia della Germania Est alla prese con il passaggio dal comunismo al capitalismo. La fervente attivista politica Christiane va in coma nel settembre del 1989 e al risveglio, otto mesi dopo, i medici dicono ai figli di evitarle qualunque shock: il suo cuore è debole e un piccolo cambiamento potrebbe esserle fatale. Durante il coma però è caduto il muro di Berlino, una notizia che potrebbe uccidere la donna. Suo figlio Daniel Bruhl (qui al ruolo che ha lanciato la sua carriera), ricostruisce la DDR nella stanza della madre, con telegiornali fittizi rigirati ad hoc e comparse volte a sostenere la finzione. Il mondo però bussa prepotentemente alla porta e il ragazzo dovrà ingegnarsi sempre di più per evitare che la madre venga travolta dall’avvento del capitalismo. Il fascino di Berlino, le musiche di Yann Tiersen e la genialità del racconto rendono “Good Bye Lenin!” un vero e proprio punto di riferimento per il cinema europeo degli ultimi vent’anni (non a caso è stato scelto come film della vita dall’unico tedesco ritratto per il progetto Film People).

SERIE TV: La quarta stagione di West Wing, nota per essere l’ultima curata da Aaron Sorkin, si è chiusa col botto. Tra l’altro se ho passato la settimana a controllare ossessivamente gli aggiornamenti su Nevada, Georgia, Pennsylvania e Ariziona è anche colpa dello staff dell’Ala Ovest, a cui mi sono affezionato come non mai (per non parlare dell’attenzione che ho dedicato ai tweet degli attori del cast sulle elezioni statunitensi!). La quinta stagione, neanche a dirlo, è cominciata alla grande, in uno show che non molla un centimetro neanche dopo un centinaio di episodi visti: quant’è bella la sensazione di quando trovi una serie che ti porti dietro anche nella vita di tutti i giorni, che ti coinvolge anche quando non la stai guardando? Per il resto, spinto dall’entusiasmo che circola sui social e soprattutto dalle affidabili raccomandazioni di una cara amica e del mio pusher pugliese, ho visto il primo episodio de La Regina degli Scacchi, che ho trovato molto bello e originale nonostante il fastidio che ormai provo nei confronti della fotografia e della color correction dei prodotti Netflix (e non solo) degli ultimi anni: queste immagini dai colori sempre perfetti, patinate, morbide, che sembrano confezionate come una scatola di cioccolatini. Al di là di questo la serie sembra molto interessante: più tardi mi guardo un altro episodio. E voi, che state guardando in questo periodo?

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Madame Verdurin ha detto:

    Bellissimo Goodbye Lenin, concordo con te! Mi ha fatto davvero ridere, ma è anche un film intelligente.
    Come serie tv sto recuperando vecchie passioni d’infanzia/adolescenza su Disney Plus (Hanna Montana, Crescere che fatica!) e ho visto Zoey’s Extraordinary Playlist, di cui conto di parlare a brevissimo 🙂

    Piace a 1 persona

    1. AlessioT ha detto:

      “Crescere che fatica” è una grande verità! Ogni tanto mi cerco su youtube un episodio di Ranma 1/2 o di Holly e Benji per sopperire alla velocità con la quale passa il tempo! 🙂

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