
Ecco il lockdown ed ecco immediatamente un’altra lunga lista di film visti. Un caso? Chi può dirlo. In questo capitolo tre prime visioni e poi tanti rewatch, alcuni davvero d’eccellenza. Le giornate passano così, con un po’ di lavoro al computer, una passeggiata nel quartiere e un bel filmetto la sera. I giorni passano così, tutti un po’ uguali, in attesa di tempi migliori. Meno male che c’è il cinema che ci permette di vivere vite diverse, luoghi lontani e nuove avventure. Dopo l’angolo della retorica, andiamo a scoprire i film visti in queste ultime due settimane.
Hooligans (1995): Quando si parla del rapporto tra cinema e hooligans la maggior parte delle persone cita subito il mediocre film omonimo del 2005, con Elijah Wood. Il vero caposaldo cinematografico sugli ultrà è invece senza dubbio questo piccolo cult di Philip Davis, nel catalogo Prime Video, che narra le vicende di un gruppo di poliziotti infiltrati tra i tifosi dello Shadwell (quartiere londinese realmente esistente, le cui vicende si ispirano a quelle del temuto Millwall, ai tempi la squadra con i tifosi più violenti d’Inghilterra). Uno degli agenti infiltrati ben presto si ritroverà totalmente devoto alla causa dello Shadwell. Il film è in qualità da vhs di infimo livello, ma ha un fascino quasi morboso. Il titolo originale è “I.D.” e infatti il tema dell’identità è quello che più preme al regista, come viene sottolineato anche nel finale. Cult.
La finestra sul cortile (1954): Cosa si può dire di un film che tutti hanno visto e che tutti hanno amato? Alle migliaia di analisi già esistenti possiamo aggiungere che è curioso vedere un film del genere in pieno lockdown, “immobilizzati” nelle proprie abitazioni proprio come James Stewart nel capolavoro di Hitchcock. Ancora più strano è passare poi un’ora davanti alla finestra per cercare di scoprire se ci sono stati omicidi nella palazzina di fronte, ma questa è un’altra storia.
Un altro giro (2020): Comincia la girandola di film da vedere in vista della cerimonia degli Oscar (25 aprile). Avevo sentito parlare molto bene di questo film di Thomas Vinterberg (già amato regista di “Festen” e del meraviglioso “Il sospetto”) durante la scorsa Festa del Cinema di Roma e ho avuto eccellenti conferme dopo averlo visto. Nella storia quattro amici e colleghi decidono di sperimentare una teoria secondo la quale l’essere umano ha bisogno di un minimo e costante livello di alcol nel sangue per dare il meglio di se stesso. Mads Mikkelsen dà il meglio di sé in uno dei suoi ruoli più memorabili (che gran finale!) e in generale il film, se da un lato condanna l’abuso di alcol (come era prevedibile che fosse), dall’altro ci mostra i vantaggi dell’ebrezza misurata, il tutto sotto la benedizione di William Blake: Se le porte della percezione fossero spalancate, ogni cosa apparirebbe così com’è: infinita. Gran film.
The Yellow Sea (2010): Avendo già visto su Prime gli altri due film del sudcoreano Na Hong-jin (lo splendido film d’esordio “The Chaser” e il buonissimo “Goksung”), ho completato la sua filmografia guardando anche il suo secondo film, “The Yellow Sea”. Un tassista che vive in una sorta di terra di nessuno situata tra Cina e Corea del Nord, per sanare un grosso debito con un gangster accetta di andare clandestinamente in Corea del Sud (dove mesi prima aveva mandato la moglie a fare fortuna, di cui non ha più notizie) per uccidere un uomo. La prima parte del film, tra noir e thriller, è bellissima, in particolare la scena in cui il protagonista deve eseguire il suo compito è costruita splendidamente. Nella seconda parte il film diventa un action della peggior risma, tra inseguimenti assurdi, botte da orbi e violenza gratuita. Qui la trama passa in secondo piano ed è un peccato, perché il film aveva un ottimo potenziale. Per quanto mi riguarda, è finita a sbadigli.
Rosemary’s Baby (1968): Nel 1968, un anno prima del drammatico eccidio di Cielo Drive dove fu uccisa sua moglie Sharon Tate, Roman Polanski si trasferisce negli Stati Uniti. Appena arrivato mette in scena fedelmente un romanzo di Ira Levin, che parla di una giovane coppia che si è appena trasferita in un elegante palazzo di New York. John Cassavetes è un attore in cerca di fortuna e il successo gli casca addosso improvvisamente, poco tempo dopo il trasloco nella nuova casa e l’incontro con gli eccentrici vicini di casa, in particolar modo con l’anziana Ruth Gordon (Oscar per lei). Rosemary nel frattempo rimane incinta. Suo marito ha stretto un patto con il diavolo o è tutta una paranoia dell’ingenua ragazza? Durante le riprese a Mia Farrow furono recapitati i documenti di divorzio da parte di Frank Sinatra, che nel frattempo si stava frequentando con Jacqueline Bisset, cosa che ha senza dubbio contribuito alla grandiosa interpretazione di una Rosemary esausta, stressata, perennemente inquieta. Metafora sulle dolorose tappe dell’integrazione nella società borghese in cui la protagonista si sente estranea ma che è costretta ad accettare, “Rosemary’s Baby” è considerato uno dei grandi capolavori di Roman Polanski (personalmente secondo soltanto a “Chinatown”).
Dio è donna e si chiama Petrunya (2019): Passato nei cinema italiani un po’ in sordina, pochi mesi prima del lockdown dello scorso anno, penso che sia il primo film macedone che abbia mai visto in vita mia. Ne avevo già sentito parlare un paio d’anni fa (è stato premiato a Berlino e ha vinto il Premio Lux) e quando ho visto che era stato inserito nel catalogo di Prime Video non ho esitato a guardarlo. In un paesino ogni anno avviene un rito religioso, aperto solo agli uomini, in cui il capo locale della Chiesa lancia nel fiume una croce: il primo che riuscirà a prenderla avrà un anno di prosperità. Una giovane donna, in sovrappeso e disoccupata, passa da lì dopo un umiliante colloquio di lavoro e, quasi istintivamente, si lancia nel fiume recuperando la croce. La tradizione viene dunque violata e nessuno vuole che la croce resti nelle mani di una donna, Petrunya, che però non ha assolutamente intenzione di restituirla. Riflessione dolceamara sulla società patriarcale e sull’emancipazione di una donna piena di difficoltà, quello di Teona Strugar Mitevska è un film ricco di spunti interessanti, dalla regia (ad esempio mi è piaciuta molto una scena in cui la mdp riprende una giornalista e un cameraman e subito dopo comincia a seguire la giornalista diventando, senza alcuno stacco, la soggettiva del cameraman stesso) alla sceneggiatura. Da vedere.
Another Year (2010): Dieci anni fa, quando ho visto per la prima volta questo film di Mike Leigh, su un vecchio capitolo di questo blog ne parlavo come di un bellissimo film che però avrei sicuramente apprezzato di più “da grande”. Allora non ero ancora trentenne e la vita era una rincorsa all’edonismo più sfrenato, più o meno, quindi mi era un po’ difficile entrare nell’ottica di un’affiatata coppia di sessantenni alle prese con un “altro anno” (come da titolo) della loro vita, tra amicizie, lavoro e serate a casa. Ora che praticamente non esco di casa di sera da oltre un anno ho ritrovato questo film su Prime Video e ho pensato che fosse arrivata l’ora di apprezzarlo pienamente. Non sono neanche quarantenne, ma mi sono sentito molto vicino al personaggio di Jim Broadbent. Non so se è un buon segno.
Louise-Michel (2008): Esilarante commedia della sempre geniale accoppiata Delepine-de Kervern, una black comedy sul riscatto del nuovo proletariato, premiata al Sundance per l’originalità e divenuta uno dei maggiori successi della stagione cinematografica francese 2008/2009. In Picardia un gruppo di operaie sono preoccupate riguardo alla riduzione del personale della loro fabbrica. Vengono rincuorate dal loro capo ma la mattina seguente la fabbrica è stata chiusa e sgomberata. Con soltanto pochi soldi come liquidazione una di loro, la goffa Louise, propone di pagare un sicario per uccidere il loro padrone. Il sicario è un patetico inetto di nome Michel, che intraprenderà un viaggio insieme a Louise per trovare l’uomo e compiere la missione. Al limite del grottesco, il film si nutre di atmosfere squallide e desolanti che un po’ fanno pensare alle clip di Cinico TV di Ciprì e Maresco. Lo trovate su Prime Video, merita senza dubbio una visione (sempre su Prime trovate anche il bellissimo film successivo dei due registi, “Mammuth”, con Gerard Depardieu).
SERIE TV: Ultimamente non sto guardando nulla. Ieri però ho cominciato la tanto chiacchierata nuova miniserie di Sky Speravo de morì prima: prima di dare un giudizio completo voglio vederla tutta (se non sbaglio sono sei episodi), ma dopo le prime due puntate mi sono già fatto un’idea. Per ora mi sembra un’operazione totalmente senza senso (a che serve? Davvero è una storia così interessante?), però mi ha anche affascinato in maniera quasi perversa, da romano e romanista ho vissuto sulla mia pelle tutto ciò che succede nella storia e ho trovato interessante vedere alcune cose da dentro lo spogliatoio. Da questo punto di vista mi incuriosisce sapere come verrà recepito fuori Roma. Le interpretazioni sono ottime, secondo me il trio Castellitto-Tognazzi-Scarano ha centrato i personaggi (anche se avrebbero potuto schiarire un po’ i capelli del protagonista, ma questi sono dettagli), alcune espressioni e inflessioni della voce sottolineano la bontà della recitazione. Di tutta la vicenda Totti non ho mai amato questo eccessivo accanimento nei confronti di un allenatore straordinario come Luciano Spalletti (record di punti nella stagione dell’addio) e il fatto di aver messo i suoi interessi personali davanti alla squadra, alla Roma, che è la cosa che più conta per me. D’altra parte è quasi tenero vedere come un uomo che ha tutto, innalzato a divinità in una città calorosa ma anche contradditoria come Roma, possa essere umano nelle sue paure, nel suo complicato rapporto con il “maledetto” Tempo. Vedremo come andrà avanti ma ripeto: aveva senso una serie sugli ultimi anni di carriera di Totti? No. Me la guarderò morbosamente fino all’ultimo fotogramma? Ovviamente.

Sai che anche io a volte mi metto alla finestra e resto delusa perché nessun vicino sta uccidendo nessuno? Grazie, bellissimo volo!!
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Ahah problemi cinefili… 😅
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