Recensione “Titane” (2021)

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Prima di parlare del film, una doverosa introduzione. Dopo 8 anni i ragazzi del Cinema America hanno riaperto la sala Troisi, ora Cinema Troisi, un centro di cultura senza precedenti, inclusivo, con un’aula studio aperta tutto l’anno per 24 ore al giorno, un bar, una terrazza e, ovviamente, una bellissima sala cinematografica. Un cinema che apre è sempre una cosa stupenda ed è stato davvero emozionante essere presenti alla prima proiezione in assoluto del Cinema Troisi, ancora di più se il film in questione, di cui parlerò tra poco, è il vincitore della Palma d’Oro a Cannes. Julia Ducournau, regista di “Titane”, era presente all’apertura e ha commentato così: “Sono impressionata dalla forza di questo gruppo, la loro storia mi commuove. Un cinema che si apre è sempre una festa, quindi voglio ringraziarli: per la lotta, il coraggio, la gioventù, per provare ad aprire gli spiriti, per averci accolti al Cinema Troisi, a casa loro, è un grandissimo onore. Anche Vincent Lindon, protagonista del film, ha parlato della riapertura del cinema trasteverino: “Oggi sono commosso, raramente nella vita mi è capitato di provare emozioni così forti come quelle che sto provando oggi. Come ha detto Julia la riapertura di una sala è un atto di estremo coraggio ma è anche un gesto politico, perché significa aprire la cultura ai giovani, mostrare loro che esiste qualcosa oltre internet, e che niente potrà mai sostituire l’emozione di uno spettacolo sul grande schermo”.

“Titane” è uno di quei film che ti fanno lasciare la sala immerso in profondi pensieri. Uno di quei film che quando ti chiedono “com’è?” non sei in grado di liquidare con un semplice aggettivo, perché non lo sai neanche tu come definirlo. Puoi rispondere che “è cinema”, così come cavartela con un banalissimo “non lo so”. Perché “Titane” è sì la storia di una folle serial killer attratta dal metallo e dalle automobili (e quando dico attratta, intendo fisicamente), ma è anche la storia di una famiglia ritrovata, una favola che unisce il fuoco al metallo e ti suggerisce, tra uccisioni violente e un’estetica fuori dal comune, che abbiamo tutti bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, per quanto folle e delirante possa essere, a tratti, questo bisogno.

Alexia è una ballerina sulla trentina che sin da piccola, a causa di un incidente stradale, convive con una placca di titanio applicata al cervello. Vive in una famiglia anaffettiva e, letteralmente, uccide le persone che cercano di avere una relazione con lei, preferendo ad esse il fascino di un’automobile che la attira al buio con i suoi abbaglianti (la camminata della protagonista, in nudo integrale, mentre si avvicina alla macchina è una delle scene cinematografiche più potenti di questo 2021). La furia omicida, che culmina sulle note di “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli, chiude la prima parte di un film che sta per entrare in un campo totalmente diverso: per sfuggire alle ricerche della polizia infatti, Alexia si taglia i capelli e si camuffa, prendendo l’identità di un bambino scomparso più di un decennio prima e dando al film una direzione totalmente inaspettata.

Che sia il film più tenero che abbia mai visto su un serial killer è quasi fuor di dubbio, al tempo stesso è inevitabile pensare al sottotesto riguardante l’identità di genere e la fluidità sessuale, che non interferisce di un centimetro con l’amore di chi vuole accettarti per quello che sei, anche se fai sesso con le automobili, sei ricoperta di olio per motori e sei la prova vivente di un miracolo, che però non è mai visto come un’anormalità. La regista Julia Ducournau è visionaria, ma dà l’impressione di avere il controllo totale su ciò che vuole raccontare (anche la sceneggiatura porta la sua firma): “Titane” è un film davvero difficile da descrivere e, sono certo, sarà accolto con molta diffidenza dal pubblico, ma è al tempo stesso un’opera troppo futuristica per il 2021. Un giorno, tra molti anni, probabilmente diranno: “è incredibile che un film del genere sia degli anni 20”. Incredibile, ecco, forse è questo l’aggettivo giusto!

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