Recensione “Un bel mattino” (“Un Beau Matin”, 2022)


La vita delle persone comuni è talmente interessante che a volte ti domandi perché esistano anche film di altro genere. La vita delle persone comuni raccontata da Mia Hansen-Løve poi è, nella sua devastante normalità, talmente bella da volerne far parte, da voler abbracciare i personaggi e passare un po’ di tempo con loro. La regista parigina continua a non sbagliare un colpo e con l’ennesimo gioiello della sua filmografia riesce a portarci dentro la quotidianità di una madre, rimasta vedova troppo presto, con semplicità e grande onestà, senza apparire mai pretenziosa né ricattatoria. Lèa Seydoux incarna alla perfezione il ruolo, cercando di mettere un freno, tra cappelli di lana e cappotti ingombranti, alla sua magnetica sensualità: il suo volto è perfetto per il ruolo di Sandra, protagonista malinconica di cui è impossibile non innamorarsi.

Sandra fa l’interprete e vive a Parigi con la sua bambina. Ha perso il marito cinque anni prima e ora è alle prese con un padre da sistemare in qualche istituto, non essendo più autosufficiente. Un giorno per caso incontra Clement, un vecchio amico del marito, con cui inizia una relazione, nonostante l’uomo sia sposato e abbia un figlio. La vita della donna va avanti giorno per giorno, barcamenandosi tra questi due rapporti difficili: quello con il padre, che sembra sempre più lontano a causa di una malattia degenerativa, e quello con Clement, che è appassionato, felice ma al tempo stesso impossibile, vista la loro condizione clandestina.

Come in tutti i film di Mia Hansen-Løve non succede granché, non ci sono momenti di svolta particolari o colpi di scena incredibili, ma anche nelle nostre vite è raro che accadano cose del genere: c’è però un’intensa quotidianità, con le sue sfide, le sue difficoltà, i suoi piccoli e grandi ostacoli da superare, gli inaspettati momenti di felicità. La vita di tutti i giorni può essere brutale, piena di dolore, ma anche ricca di empatia e profonda umanità. Ho amato molto una scena in particolare, quando Sandra, dopo aver sistemato il padre in una casa di riposo, si ritrova circondata dai libri di lui e si rende conto di sentire molto di più la presenza del genitore quando si trova accanto a quei volumi piuttosto che nei momenti in cui ci sta insieme. “Ma non li ha scritti lui”, le risponde giustamente la sua bambina, al ché Sandra risponde (vado a memoria, perdonatemi): “Non li ha scritti, ma li ha scelti. All’ospedale c’è il suo corpo, ma qui c’è la sua anima”. L’anima è esattamente ciò che percepiamo di fronte a questo film: c’è il solito amore di una regista di talento per i suoi personaggi, c’è il desiderio di vederli felici. E quel desiderio è anche il nostro: quanto cuore in questo film.

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