
L’incipit è trascinante: siamo nella Germania nazista, Indiana Jones come al solito è circondato da soldati nemici e si è ficcato inevitabilmente nei guai. C’è ironia, c’è un treno di opere d’arte trafugate, c’è ritmo, ci sono i buoni e ci sono i cattivi, è tutto talmente evidente e manicheo che è quasi perfetto: è praticamente l’essenza di Indiana Jones. Gli ottimi propositi tuttavia durano poco, perché purtroppo il film non sarà tutto così (sarebbe un miracolo). Mangold è bravo, ma prendere una saga dalle mani di Steven Spielberg e tentare di replicarne la verve, la visione, la gioia dell’immagine è una missione pressoché suicida. Quel che peggio, sembra non aver assolutamente compreso l’insegnamento che tutti abbiamo appreso proprio grazie ai film di Indiana Jones: certe reliquie non devono essere toccate, pena l’arrivo sul groppone di enormi macigni.
Siamo nel 1969. L’uomo è appena sbarcato sulla Luna e il professor Jones è ormai a un passo dalla pensione. Riceve dopo anni la visita della sua figlioccia Helen, che gli prende dalle mani un oggetto antico per poterlo rivendere a un’asta clandestina. L’oggetto in questione è una parte del quadrante del titolo, uno strumento creato da Archimede che, secondo la leggenda, consentirebbe a chi ne è in possesso di aprire varchi nel tempo e cambiare così la storia: neanche a dirlo, è un gingillo che fa gola soprattutto a un ingegnere tedesco e ai suoi scagnozzi che, già avrete capito, non sono tipi da rinnegare la svastica. Ed è così che parte l’ennesima avventura di Indiana Jones, sbattuto tra il Marocco, il Mar Egeo e la Sicilia, nel classico blockbuster giramondo dove l’ennesimo inseguimento da cartolina, lungo quindici minuti, a un certo punto riuscirebbe a far urlare anche un muto.
Phoebe Waller-Bridge, la grande novità di questo nuovo capitolo, è totalmente sprecata ma, quel che peggio, il suo personaggio è molto meno divertente di quanto ci si possa aspettare dalla protagonista del sorprendente Fleabag. Insomma, c’è ben poco da salvare in questo film, tra enigmi alla Dan Brown, un ragazzino-accollo che non aggiunge assolutamente nulla alla storia (il nuovo Shorty? Non proprio) e l’antagonista più inutile della storia di Indiana Jones (nonostante abbia le fattezze di un attore di alto livello come Mads Mikkelsen: anche lui evidentemente ha delle bollette da pagare). A condire il tutto, qualche cameo di vecchi amici e un paio di riferimenti al passato che strizzano l’occhio, con piacere, agli ex-bambini degli anni 80. “Questo dovrebbe stare in un museo!”, urla a un certo punto Harrison Ford: ecco, anche al suo Indiana Jones andrebbe messa una bella teca intorno al cappello e alla frusta, per lasciare che fortuna e gloria, eternamente, alimentino il suo mito. Senza toccarlo mai più, per favore.
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