Festa del Cinema di Roma 2023: Miyazaki è Tornato!

GIORNO 6
Come già raccontato nel precedente diario, domenica ho marcato visita per cause di forza maggiore. Per fortuna avevo già visto Anatomia di Una Caduta la scorsa settimana (film stupendo), così la mia assenza è stata meno dolorosa, anche se in tanti mi hanno detto che Past Lives, debutto alla regia di Celine Song, è uno dei film migliori di questo Festival (ma tanto, come ogni anno, se non mi perdo almeno uno o due filmoni non fanno finire la rassegna). Non avrò modo di recuperarlo se non al cinema a febbraio: aspetteremo. Ieri, a parte la solita maledetta sveglia alle 7.56, in tempo per essere alle 8 davanti al pc per prenotare i film del dopodomani, la mia giornata alla Festa del Cinema è cominciata nel pomeriggio. Sono arrivato all’Auditorium in tutta tranquillità verso le 15.30, dove mi imbatto subito in Gianni Di Gregorio, che avrebbe percorso il tappeto rosso da lì a pochi minuti. Il regista trasteverino è un personaggio davvero gentile e genuino, nel suo quartiere non è raro incontrarlo per strada o al bar e ogni volta che lo vedo mi viene quasi naturale salutarlo.

Mi soffermo a fare quattro chiacchiere sull’unico, splendido, argomento possibile durante un festival di cinema, cioè “film visti / film ancora da vedere” e mi sento elettrizzato perché in serata mi aspetta il film di Hayao Miyazaki, che è forse il motivo principale che mi ha spinto anche quest’anno a prendere parte all’ennesima Festa del Cinema della mia vita (ma ne parleremo dopo). Giunta l’ora, mi dirigo verso la sala Petrassi dove mi aspetta l’esordio dietro la macchina da presa di Filippo Barbagallo, già assistente alla regia per un altro esordio, quello del 2018 di Valerio Mastandrea nel bellissimo Ride. Troppo Azzurro è in realtà troppo sconclusionato: un ragazzo resta a Roma per l’estate dove conquista prima una ragazza, poi un’altra, in una sequela di scene carine ma troppo poco coerenti tra di loro. Il regista, anche sceneggiatore e interprete principale, si sforza eccessivamente per cercare di essere divertente ad ogni costo (rischiando più volte di sembrare la macchietta di Woody Allen), a tratti ci riesce, ma al film manca proprio l’idea vincente. Diciamo che vedere questo film è come quando incroci un cagnolino per strada: lo trovi carino, lo accarezzi, poi torni sulla tua strada e lo hai già dimenticato. Nonostante ciò Barbagallo è giovane, in gamba e, nonostante una scrittura ancora troppo acerba, il tempo è tutto dalla sua parte.

Troppo Azzurro (Filippo Barbagallo)
••½


Appena il film finisce sono costretto a correre dalla Petrassi al Teatro Studio per il secondo film di giornata. Giustamente chi organizza e decide gli orari dei film in questo festival non riesce proprio a concepire che se c’è una proiezione che finisce alle 18.05, avrebbe più senso mettere le proiezionei delle altre sale alle 18.15 e non alle 18. Ma capisco che guardare 3 o 4 film al giorno è invidiabile, quindi perché non mettere qualche ostacolo sul percorso per rendere più frizzantina la nostra esperienza? O forse hanno pensato bene di farci correre da una sala all’altra per compensare tutte quelle ore che dobbiamo passare seduti sulle atroci poltroncine dell’Auditorium, questo in effetti avrebbe più senso. Un giorno, magari, lo chiederò a chi di dovere. Ad ogni modo, neanche cinque minuti dopo la fine di Troppo Azzurro, corro in Teatro Studio per Mother, Couch di Niclas Larsson, con Ewan McGregor e Rhys Ifans. In un emporio di mobili nel mezzo del nulla, una donna anziana si siede su un divano dal quale non vuole più alzarsi. I tre figli, nel vano tentativo di convincerla a lasciare il posto, faranno i conti con il loro passato, il rapporto con la madre e anche i bizzarri proprietari del mobilificio. Il forte impianto teatrale (quasi interamente girato in un solo edificio) e l’assurda ma affascinante idea di partenza, oltre ad una collezione di splendide interpretazioni (McGregor strepitoso), non basta però a tenere agganciato lo spettatore fino alla fine, dove un finale allegorico si perde un po’ la storia per strada (o in acqua…). Occasione sprecata? Forse. Fatto sta che il materiale di partenza era notevole e il cast davvero importante.

Mother, Couch (Niclas Larsson)
••½


Stavolta per fortuna posso uscire dalla sala con più tranquillità, visto che l’ultimo film di giornata, il più atteso, è in programma alle 21, cioè tra circa un’ora. Mi siedo sui gradoni della Cavea con un dignitosissimo panino al prosciutto che mi sono portato da casa e me ne sto là una mezzoretta a contemplare il Red Carpet, a quest’ora più vivo che mai e a riflettere, tanto per cambiare, sul tempo che passa, sulle tante volte che mi sono seduto su quei gradoni, in età sempre diverse, con persone sempre diverse, con amici e amiche sempre diverse, scattando foto di ogni genere, che sarebbe anche carino mettere insieme per creare una sorta di Boyhood fatto solo di foto scattate sulla pietra bianca della Cavea. Ora una foto me la scatto da solo, precisa evoluzione di quanto detto prima. Finito il panino, seppur non del tutto finite le riflessioni (finiranno mai?), scendo nei pressi del Red Carpet per capire il motivo di tanto chiasso e mi imbatto in Sting, senza sapere il motivo per cui è a Roma (scoprirò dopo che la moglie è la regista di un documentario su Napoli che ovviamente era in programma ieri sera). Incontro un vecchio collega dell’università, unico superstite insieme a me di quel gruppo storico di damsiani che da 18 anni calcano le sale dell’Auditorium, e anche con lui ci soffermiamo sulle domande di cui sopra su film visti e film ancora da vedere. Le 21 si avvicinano e, nonostante una stanchezza indescrivibile, ci avventuriamo in Sinopoli per il film di Hayao Miyazaki. Finalmente!

Il Ragazzo e l’Airone è l’ennesima splendida avventura nel mondo fantastico dell’autore nipponico, che qui ci regala una sorta di film-testamento in cui Miyazaki sembra fare i conti con la mortalità e con il mondo che spera di lasciare ai posteri. Il dodicenne Mahito, dopo la morte della madre, fatica ad ambientarsi nella nuova città in cui si è trasferito con il padre (e la nuova moglie di lui), finché un bizzarro airone parlante lo informa che sua madre è ancora viva. Comincia così un viaggio in un fantastico universo parallelo, attraverso lo spazio e il tempo, un’avventura nelle emozioni di Miyazaki (e pure in quelle nostre). I film del regista giapponese riescono sempre a riempirti di calore umano, ad abbracciarti, a farti sentire parte di un posto più bello di quello che viviamo tutti i giorni. Sarà per questo che il ritorno a casa è più dolce, più sereno, nonostante la stanchezza. Che splendido film, sento il bisogno di rivederlo e so già che il primo gennaio, quando uscirà al cinema, sarò seduto in sala a godermelo di nuovo, magari senza il peso di sveglie “all’alba” e ore intere di film sulle spalle (e sugli occhi).

Il Ragazzo e l’Airone (Hayao Miyazaki)
••••


Oggi ci sono in programma altri due film, quindi tre domani e altri tre (o quattro) giovedì. Non faccio spoiler, li scopriremo insieme giorno dopo giorno. Insomma, la musica non è ancora finita, anzi…


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