
Ci siamo addentrati in un maggio più invernale che primaverile: in attesa dell’inizio del Festival di Cannes, il 14 maggio, abbiamo avuto modo di vedere un piccolo teaser di Megalopolis di Coppola, in cui Adam Driver sembra avere la capacità di fermare il tempo a suo piacimento: la curiosità è già tantissima, aspetto con impazienza le prime recensioni. Per il resto David Lynch ha rivelato di avere alcune idee per una nuova stagione di Twin Peaks (magari ci casca), mentre una notizia triste riguarda invece Bernard Hill, che è venuto a mancare all’età di 79 anni. Tra gli altri, Hill è ricordato per aver interpretato il capitano del Titanic e soprattutto Re Theoden ne Il Signore degli Anelli. Passiamo ora ai film di questo capitolo, con un paio di boiate ma anche altrettanti colpi di fulmine.
Late Night With the Devil (2023): Mi sono sempre piaciuti i Late Show statunitensi (e anche qualcuno italiano), così come ho sempre trovato in qualche modo affascinanti i film con possessioni demoniache. Quando ho saputo che queste due cose erano state messe insieme nel film di Cameron e Colin Cairnes, si è subito acceso un campanellino nella mia testa, lo dovevo vedere. Usando un (ovviamente) falso found footage, il film racconta la storica puntata di Halloween del Late Show di un conduttore televisivo sull’orlo del declino, che proprio quella sera si giocava la riconferma o l’oblio. Il pezzo forte della serata è una ragazzina che, durante alcuni episodi di psicoterapia, lascia emergere il demone che la possiede. Invitare il diavolo in studio? E cosa potrà mai andare storto! L’idea di base è portentosa, poi però i minuti passano e tu sei là ad attendere il climax, appesantito da riempitivi assolutamente non necessari. Gradevolissima l’estetica anni 70, ma con un’idea così si poteva (doveva!) osare molto, ma molto di più, c’era infatti il potenziale per tirare fuori un film davvero spaventoso o davvero satirico: non è né carne né pesce. Peccato.
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Le Vacanze di Monsieur Hulot (1953): Che mondo sarebbe senza Jacques Tati! In questa sua opera seconda l’artista francese delinea perfettamente lo stile del suo cinema, che poi troverà il suo apice nel capolavoro del 1967 Playtime. In questo film del 1953 viene introdotta la figura di Monsieur Hulot, personaggio ricorrente del cinema di Tati, un po’ come era stato il personaggio di Charlot per Chaplin. Il signor Hulot si reca in un villaggio balneare della costa bretone per trascorrere l’estate al mare. Il film come al solito non ha una vera e propria trama, gioca più su gag isolate che permettono alla storia di andare avanti, coinvolgendo diversi personaggi che popolano la località. Alcune scene sono divertentissime anche per uno spettatore del 2024, altre saranno state decisamente più apprezzabili negli anni 50, ma il modo in cui Tati riempie gli spazi, gioca con gli elementi della scena, trovando sempre il modo di rendere ogni cosa credibile nella sua estrema goffaggine, è qualcosa che appartiene al genio. Lo potete vedere su Mubi.
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Tre Colori – Film Bianco (1994): Nel capitolo precedente avevo parlato di Film Blu, addentrandomi per la prima volta in questa mitologica trilogia di cui ricordo, da ragazzino, il cofanetto di VHS tricolore nella libreria di mia madre. Dopo il blu, viene dunque il bianco. Una sorta di Fantozzi polacco (somiglianza incredibile) viene lasciato dalla moglie Julie Delpy, ritrovandosi a Parigi senza soldi né nulla. Grazie a un incontro fortunato con un connazionale, l’uomo riesce a rientrare in Polonia nascosto dentro una valigia (che viene rubata con lui dentro, come accadrebbe appunto a Fantozzi). Qui cerca di riprendere in mano la sua vita, con un’unica ossessione in testa: riconquistare il rispetto di sua moglie. In questo vasto oceano di bianco, Kieślowski racconta stavolta l’égalité, l’uguaglianza, ma sempre a modo suo, con una delicatezza rara, un potente desiderio di riscatto, arrivando in porto con il vessillo al vento e realizzando un finale incantevole. Julie Delpy è bella da mozzare il fiato, ma questo non lo scopriamo oggi.
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Tre Colori – Film Rosso (1994): Come chiudere in bellezza una trilogia di straordinario cinema. Il film racconta l’amicizia tra l’anziano e un po’ burbero Jean-Louis Trintignant e la giovane e splendida modella Irène Jacob (che già aveva lavorato con Kieślowski nel magnifico La Doppia Vita di Veronica). I due, nonostante i caratteri totalmente diversi, sembrano due potenziali amanti che si sono incontrati non nel momento sbagliato, ma nella generazione sbagliata, vista la enorme differenza di età. Il destino tuttavia, muoverà i fili a modo suo. Amato da Tarantino al Festival di Cannes del 1994 (che poi alla fine avrebbe sorprendentemente vinto Pulp Fiction, proprio ai danni del film del regista polacco), è l’ultimo film di Kieślowski, che morì due anni dopo in seguito ad un attacco cardiaco, mentre stava lavorando a un’altra trilogia dedicata a Inferno, Purgatorio e Paradiso (cosa ci siamo persi!). Ad ogni modo possiamo ancora goderci questa trilogia che ci ha lasciato, tre film talmente meravigliosi da far fatica a capire quale sia il migliore: ma in fondo, lo dobbiamo scegliere per forza?
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Guerre Stellari (1977): Lo so, ormai non c’è quasi più nessuno a chiamare Guerre Stellari il primo film della saga di George Lucas, ma sono così legato a quel titolo italiano risalente all’epoca in cui ero bambino, che mi piace continuare a chiamarlo così. Detto ciò, parliamo di un film che di certo non ha bisogno di presentazioni e rivederlo per la centesima volta è sempre bellissimo, la gioia di fare il tifo per i “buoni”, nel più completo manicheismo, oltre all’inevitabilità di dover ripetere i dialoghi a memoria durante la visione, per la gioia di chi avevo intorno. Uno dei film del cuore, per sempre.
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The Greatest Hits (2024): Avevo il sentore che fosse una boiata, poi però sono incappato in un post in cui il titolo di questo film veniva accostato al nome di quel grande di John Carney (sacrilegio!), specialista in meravigliose storie in cui la musica è importante tanto quanto i personaggi. Ci sono volutamente cascato, pensando che, quantomeno, mi sarei goduto la colonna sonora. Il problema è che questo film di Ned Benson è proprio brutto. Dopo un incidente d’auto in cui ha perso la vita il suo ragazzo, Lucy Boynton (lanciata proprio da John Carney nel bellissimo Sing Street) ha avuto uno strano danno al cervello: quando sente una canzone che aveva condiviso con il suo uomo, torna indietro nel tempo nel momento in cui aveva ascoltato quel pezzo per la prima volta. La ragazza approfitterà di questa condizione per tentare di impedire l’incidente e far tornare la sua vita su binari felici. L’idea, per quando bislacca, ha anche un suo perché (è inevitabile a fine film cominciare a pensare in quale momento della vita poter tornare grazie al “potere” di una canzone), il problema è che i dialoghi sembrano scritti da un ragazzino delle medie e il film, in generale, si prende esageratamente sul serio. Insomma, chi spera in una rom-com, troverà solo una rom, con una colonna sonora molto meno interessante di quanto ci si potrebbe aspettare. Tempo perso.
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Trenque Lauquen (2022): Miglior film uscito in Francia nel 2023 secondo il prestigioso giudizio dei Cahiers du Cinema, il film argentino di Laura Citarella, presentato a Venezia due anni fa, è una vera e propria matrioska cinematografica. Ogni scena infatti apre il film a nuove teorie, nuove possibilità, nuove svolte narrative, in un viaggio misterioso e senza dubbio spiazzante nella desolata Pampa argentina. Laura sta svolgendo un tirocinio nel piccolo paese di Trenque Lauquen, in attesa di ottenere una cattedra all’università di Buenos Aires. Un giorno però ruba l’auto di un suo collaboratore, Ezequiel, e sparisce nel nulla. Sulle sue tracce si mette lo stesso Ezequiel, in compagnia del fidanzato di Laura, giunto dalla capitale per cercare la ragazza. Perché Laura è sparita? Dove si trova? Entrambi hanno delle idee e dei sospetti, ma li tengono per se stessi. Vaghissimi echi di Twin Peaks e Michelangelo Antonioni si mescolano alla malinconia tipica del cinema argentino e al realismo magico delle opere di Borges, in un film di circa 4 ore (diviso in due parti) che racconta la storia di una donna, di tante donne, sia del passato che del presente, tutte più o meno in fuga, lanciate nel mistero dell’avventura o nell’avventura del mistero. Impossibile dire di più, ma è un’opera di valore assoluto. Se avete 4 ore da dedicarvi, il premio che riceverete sarà qualcosa di più unico che raro. Anche questo lo trovate, ovviamente, su Mubi.
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