Recensione “Locke” (2013)

Quando si gira un film con un solo attore, un solo ambiente e soltanto dialoghi, o si realizza un filmone (tipo “Buried” per esempio) o si cade nel manierismo e si fallisce. Quello di Steven Knight per fortuna appartiene alla prima categoria: girato in due settimane, interamente all’interno di un’automobile, “Locke” riesce in un’ora e mezza a trascinare lo spettatore nel dramma personale del protagonista, ad ipnotizzarlo con la sua freddezza, a catturarlo con il suo orgoglio, e lo mette continuamente alla prova con i suoi ostacoli. “Una telefonata allunga la vita”, diceva una vecchia pubblicità in tv, ma in questo caso ogni chiamata può essere un passo in più verso l’abisso, o un passo fuori dai propri problemi.

Ivan Locke ha una bella famiglia, sta per sovrintendere un evento fondamentale per il suo lavoro e questa sera sarebbe dovuto tornare a casa a guardare la partita di calcio in tv con i suoi figli. Ma succede qualcosa: Locke si mette in macchina per andare a Londra. Dovrà delegare il suo lavoro ad un operaio di fiducia, dovrà avvisare la moglie che non farà ritorno a casa, dovrà spiegare al suo capo i motivi di questo improvviso abbandono. Tra una chiamata e l’altra, trascorre la notte a bordo della sua auto, in viaggio verso un futuro che gli cambierà una vita. Combattere i fantasmi della propria vita, del proprio cognome, o vivere nel rimorso, nel senso di colpa, nella menzogna. “Ho preso una decisione, non tornerò indietro”, afferma il protagonista, che condividerà con noi la sua discesa verso l’abisso.

Un road movie atipico, dove la strada verso Londra si trasforma in un’autostrada verso l’inferno, come cantavano gli AC/DC. Non stiamo parlando di un film di azione pieno di inseguimenti e corse in macchina (per fortuna!), semplicemente del dramma personale di un uomo ordinario, alle prese con una nottata fuori dal comune in cui sarà chiamato a pagare le conseguenze di un errore commesso in passato. Tom Hardy è l’unico volto che compare nella pellicola, ma le sue emozioni reggono perfettamente il peso di un’ora e mezzo di continui dialoghi, di speranze e discussioni, in cui il protagonista cerca con freddezza di mantenere il controllo su una vita che gli sta scivolando di mano come un mucchio di sabbia stretto in un pugno. Una telefonata può davvero allungarti la vita, o distruggertela. Dipende chi c’è dall’altra parte del filo.

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