
C’è chi cerchia in rosso il giorno in cui andrà in vacanza, chi cerchia in rosso il giorno in cui finirà gli esami e poi ci siamo noi, quelli che hanno cerchiato in rosso il 4 luglio, il giorno in cui è uscita la terza stagione di “Stranger Things”. In questa introduzione, che è senza spoiler, possiamo dire subito una cosa: è una stagione esaltante, bellissima, si ride e ci si commuove, c’è spazio per le emozioni ma anche per qualche brivido di fomento e, bisogna dirlo, dopo una seconda stagione un po’ sottotono (o sottosopra?) ne avevamo proprio bisogno. Ora, vi do il tempo giusto di un gelato, perché dal prossimo paragrafo in poi si entra in una caldissima e pericolosissima zona SPOILER. Siete avvisati.

Partiamo subito dalle cose importanti: Eleven, punto di forza della prima stagione, è nuovamente al centro della storia, cosa che invece non era avvenuta con la seconda stagione, guarda caso la peggiore delle tre. In questa terza stagione si vede molto di quello che si potrebbe definire “l’effetto Harry Potter”: i bambini della prima stagione sono cresciuti, sono adolescenti, e ora devono affrontare guai ancora più grossi, mentre al tempo stesso i loro cuori prendono confidenza con le sacre paturnie del primo amore. I fratelli Duffer si sono presi un po’ più tempo per realizzare questa terza stagione e il risultato si vede, eccome, perché è evidente che ogni sottotrama è più curata, ogni rapporto si svolge con più attenzione e, soprattutto, la storia è decisamente più coinvolgente. Tra un esercito di cloni malvagi che sembra uscito fuori da “L’invasione degli ultracorpi” e la minaccia russa che incombe nel sottosuolo, non si saprebbe davvero da dove cominciare. Proviamo ad andare con ordine.
I ragazzini, come dicevo, sono cresciuti e sono apparentemente diventati insopportabili: l’inizio dell’adolescenza è una fase delicatissima, c’è chi corre dietro alle prime ragazze e chi è ancora legato all’infanzia, e lo scontro tra questi due mondi crea incomprensioni, frasi sbagliate, un sacco di errori. Lo sa bene Will, che vorrebbe rivivere i momenti felici di un’infanzia rubata (dal padre assente prima e dai mostri del sottosopra poi), ma lo capiranno altrettanto bene anche Mike e Lucas, troppo presi dalle loro cotte per capire di quanto in realtà abbiano ancora bisogno dei loro amici più cari. Questo scontro crea momenti di bellissima poesia, tra i flashback della prima storica partita a D&D dell’episodio pilota della serie, all’abbraccio tra i quattro amici, interrotto dal cinismo caustico di Erica. Sarà proprio lei però, la più piccola del gruppo, ad ereditare (fisicamente e metaforicamente) lo scettro dell’avventura: Dustin le consegna le scatole per giocare a Dungeons & Dragons e la sorellina di Lucas sembra felice di raccogliere questa invitante eredità (anche narrativa? Lo vedremo). E le altre ragazze? Eleven e Max sono diventate amiche, danno lezioni ai maschietti e lottano fianco a fianco, ognuna con i mezzi che può: la prima con la telepatia, la seconda con l’esperienza. Dopo le divisioni forzate della seconda stagione, i ragazzini (Dustin a parte), sono tornati tutti insieme e questa cosa è bellissima.
Dustin, dicevamo: uno dei personaggi rivelazione della prima stagione è diventato un po’ troppo una macchietta nella seconda, dove si è ripreso grazie al rapporto con Steve. Anche qui la premiata ditta si conferma vincente, visto che le vicende tra Dustin e Steve, accompagnati dal carisma di due eccellenti controparti femminili (Erica e la new entry Robin), sono tra le più intriganti della stagione (il codice russo da decodificare è una trovata interessante). Parlando di Steve possiamo passare dunque a parlare dei ragazzi più grandi: lui, Nancy, Benjamin e Billy, la cui presenza all’interno di “Stranger Things” ha finalmente senso, dopo il clamoroso buco nell’acqua della stagione precedente, dove il suo personaggio non contribuiva in modo alcuno allo sviluppo della trama. Partiamo proprio da Billy: è sempre uno stronzetto, ma stavolta ha davvero poco tempo per mettere in evidenza il suo caratteraccio. Il Mind Flyer lo cattura e lo possiede, inducendolo a costruire un esercito di “Flyed” (o posseduti) per conto suo. Billy esegue tutto alla perfezione, salvo morire da eroe, con un senno ritrovato all’ultimo momento grazie ai ricordi felici legati alla madre. Nancy e Benjamin continuano invece ad indagare insieme, costante di tutte le stagioni, mettendosi puntualmente nei guai. A salvargli il sedere, come al solito, ci pensa il sempre eccellente Steve, ormai diventato uno dei personaggi più amati della serie. Proprio lui, costretto per tutte le 8 puntate ad indossare una ridicola divisa da marinaio, è uno dei centri di gravità della stagione: la sua missione nel cuore del laboratorio russo, ha richiami del primo “Star Wars” (i ribelli nel cuore della Morte Nera) e sentori di “Indiana Jones” (lui e Robin legati alla sedia, ad esempio).
In tutto ciò gli adulti seguono, come al solito, altre piste: Joyce convince Hopper, in piena modalità Magnum P.I. (tra baffo e camicia), ad indagare su un’improvvisa mancanza di elettromagnetismo (le calamite del frigo non si attaccano). Tra i due c’è una chiara tensione, Hopper prova più volte a portare a cena Winona Ryder (chiamalo scemo), portando sempre a casa un due di picche: dovrà intervenire il solito Murray Bauman, già cupido per Nancy e Benjamin, per migliorare il rapporto tra i due. Servirà a poco, perché proprio quando Hopper riesce a strappare un vero e proprio appuntamento sentimentale a Joyce, il capo della polizia finisce ucciso (forse, ma del finale aperto ne parliamo dopo…).
Le new entry sono tutte ottime: Robin, la collega di Steve (nonché figlia di Ethan Hawke e Uma Thurman, non proprio due di passaggio), è un personaggio interessantissimo, divertente, buffo e inaspettatamente omosessuale (inaspettatamente perché per gran parte della stagione ci ha fatto pensare che ai tempi del liceo avesse avuto una cotta per Steve). Lo scienziato russo Alexei, detto Smirnoff da Hopper, è un altro bel personaggio, divertente di fronte ai suoi primi approcci con il capitalismo: finirà tristemente ucciso durante la fiera del 4 luglio, ma è uno di quei cosiddetti personaggi “brevi” che restano impressi nella memoria. Ad ucciderlo è un’altra new entry: il nome non l’ho capito, o non viene mai detto, ma la sua figura cita palesemente Terminator che ormai lo chiamerò sempre così. Terminator è il classico cliché del russo cattivo durante la guerra fredda, un sicario implacabile con cui Hopper dovrà sudare sette camicie prima di riuscire ad avere la meglio. E infine come non citare Suzie, la fidanzatina a distanza di Dustin, con cui il nostro mette in scena uno dei momenti più esilaranti della stagione, cantando la mitica “Neverending Story”, colonna sonora de “La Storia Infinita”, in diretta radio con tutti gli amici di Dustin.
Il demogorgone non c’è più (aspettate…), i democani neanche, il Mind Flyer però sì, eccome se c’è. Il mostro più potente del sottosopra è rimasto chiuso dentro il nostro mondo ed è tornato per costruire un esercito di creature, tutte parti di un unico essere, una sorta di immenso ragno fatto di carne e muscoli e tentacoli. Stavolta Eleven non può far molto (il morso del mostro nella penultima puntata sembra averle tolto i poteri!), sarà allora l’intervento congiunto di giovani, ragazzi e adulti a risolvere la situazione, dalla serie “l’unione fa la forza”. Il Mind Flyer è un antagonista perfetto in questa stagione, c’è ma non si vede per molto tempo, al contrario si vedono molto i suoi “Flyed”, figli come dicevamo del capolavoro anni 50 che era “L’invasione degli ultracorpi”. Tra gli antagonisti “terreni” i russi sono un’intelligente alternativa agli scienziati governativi che operavano ai tempi nel laboratorio di Hawkins. Sono russi, sono cattivi come nei più pacchiani film pre-caduta del muro di Berlino e soprattutto sono molto decisi ad aprire il passaggio con il sottosopra.
Sembra arrivato il momento di parlare del finale: Hopper è morto (anche se una vecchia regola nel cinema dice “Niente corpo, niente morto”), Eleven va a vivere con i Byers, che si stanno trasferendo lontano da Hawkins, tra le lacrime di Mike e Nancy da una parte e di Eleven, Will e Benjamin dall’altra. Eleven trova un’ultima lettera scritta da Hopper quando voleva chiarire la situazione tra lei e Mike e il suo lascito è commovente, chiusura perfetta di una serie indimenticabile. I dieci centimetri di porta che devono restare aperti però potrebbero anche essere una metafora del portale che conduce al sottosopra, non perfettamente richiuso, come vediamo nell’ultima puntata. Ad ogni modo partono i titoli di coda e… improvvisamente qualche fiocco di neve e finiamo in Kamchatka (una regione della Russia, per chi non ha mai giocato a Risiko): in una base più o meno segreta due soldati passano davanti a delle celle, uno dice “non l’americano, l’altro”, e così un povero sventurato finisce tra le grinfie di una nostra vecchia conoscenza: il demogorgone! La teoria è che Hopper, durante l’esplosione del reattore che stava aprendo la porta con il sottosopra, sia finito dall’altra parte, fino alla porta che si stava provando ad aprire in Russia, dove è stato catturato vivo ed imprigionato. Ad avvalorare la teoria è il fatto che i russi abbiano chiamato Hopper “l’americano” per tutta la stagione e che, di fatto, il corpo del nostro amatissimo Chief non è stato ritrovato (cosa che invece è successa per tutte le altre morti celebri, da Barb a Bob, fino a Billy).
Hopper è dunque vivo? Riusciranno i nostri amici a ricongiungersi dopo il trasferimento dei Byers e di Eleven? Elle ritroverà i suoi poteri? Ma soprattutto: quando esce la quarta stagione di “Stranger Things”? Sarà l’ultima o ci sarà anche la quinta? Per rispondere a queste domande bisognerà aspettare. Nel frattempo ci faremo una partitina a Dungeons and Dragons…
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