
Guy Ritchie torna finalmente al cinema che gli è più congeniale, quello in cui racconta la criminalità e la sottocultura di una Londra losca, corrotta e piena di imbrogli, con risultati buoni ma non del tutto esaltanti. Se da un lato The Gentlemen è forse il suo miglior film dai tempi di Rocknrolla (2008!), dall’altro il regista britannico si affida all’usato sicuro, ripete i soliti schemi che una volta si rivelarono vincenti e quel che esce fuori è quasi una copia carbone dei tre splendidi capisaldi della sua filmografia: Lock & Stock – Pazzi Scatenati (1998), Snatch (il suo capolavoro, del 2000) e il già citato Rocknrolla.
Mickey Pearson è un americano che si è arricchito in Inghilterra grazie ad un produttivo traffico di marijuana, sul quale ha costruito un impero. Il suo potere però attira le attenzioni di vari individui che vogliono mettere le mani sul suo dominio, mettendo in moto un enorme giro di crimine e sangue. Questo è un modo breve per raccontare cosa succede, un altro modo sarebbe quello di dire che Guy Ritchie mette in piedi il suo classico carosello di personaggi, tra umorismo caustico, uccisioni accidentali e colpi di scena, da rendere la trama un semplice pretesto per poter mettere in scena dialoghi e situazioni piene di humour e atmosfera british.
Se gli Oasis e i Blur negli anni 90 sono stati il simbolo del britpop da un punto di vista musicale, Guy Ritchie, tra la sottocultura londinese e i grandi classici della tradizione letteraria britannica (Sherlock Holmes e Re Artù) potrebbe quasi essere definito il simbolo del britpop cinematografico. Nessuno come lui riesce a raccontare con la stessa passione e attraverso film piuttosto pop, i lati più folli, ironici e al tempo stesso caratteristici del popolo britannico, anche se con risultati non sempre all’altezza. Il ritorno a questo “suo” cinema, seppur non proprio originale, è comunque incoraggiante.


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