
Altri otto film in questo capitolo ricchissimo di cose riviste e un po’ meno ricco di cose invece viste per la prima volta (soltanto tre film, da questo punto di vista). Ho dato un ultimo abbraccio a qualche visione rassicurante prima di potermi dedicare ai classici recuperi dicembrini, in modo da poter stilare una Top20 quantomeno credibile (almeno ai miei occhi). Anzi, se avete consigli su cose uscite quest’anno che potrebbero finire nella lista dei miei film preferiti del 2021, fatevi avanti, oppure no, che tanto ho già parecchia roba da recuperare.
The Mule (2018): L’unica volta che avevo visto questo film ero su un aereo per Chicago, quindi avevo guardato il film su uno schermo più piccolo di un foglio A4 e il ricordo che ne avevo era piuttosto confuso. Ad ogni modo Clint Eastwood non dirigeva se stesso da ben 10 anni, dai tempi di quel capolavoro di “Gran Torino” e qui ritorna in scena per raccontare la storia vera di un 90enne che, per necessità, diventa corriere della droga. Il film funziona, a Clint il ruolo di uomo solitario in situazioni eccezionali calza sempre a pennello, soprattutto nell’ultima fase della sua carriera (da “Million Dollar Baby” a “Gran Torino” appunto, fino al recente “Cry Macho”). Bradley Cooper è la sua nemesi. Bel film.
“Ti hanno mai detto che sei una testa di cazzo, Earl?” “Tante volte, anche in spagnolo”
Still Life (2013): Gioiello assoluto diretto da Uberto Pasolini (il pronipote di Luchino Visconti). La storia è quella di un impiegato di municipio della periferia di Londra, il suo lavoro è rintracciare i parenti delle persone morte sole per comunicare la dipartita del familiare ed, eventualmente, convincerli a presentarsi al funerale, dove spesso è proprio il protagonista l’unico ad assistere. Il film è misurato, tenero, emozionante, non smette un momento di farsi amare, fino ad una sequenza finale meravigliosa, da conservare nei ricordi delle scene indimenticabili del nostro pantheon personale. Da recuperare, è su Rai Play.
“Tutti vorremmo una donna con cui stare in silenzio”
Love Actually (2003): Non sarebbe dicembre se non mi vedessi il capolavoro di Richard Curtis, che guardo più o meno ininterrottamente ogni anno, di questi tempi, da almeno quindici anni. Si tratta del mio guilty pleasure per eccellenza, credo che potrei rivederlo in cento e cento occasioni, ma ogni santa volta in cui vedrò Andrew Lincoln dire “enough, enough now” dopo il bacio di Keira Knightley, io mi squaglierò sul divano, è automatico. La prima volta che ho visto questo film è stata nell’estate del 2004, ricordo che subito dopo i titoli di coda trovai finalmente il coraggio di telefonare ad una ragazza che mi piaceva un sacco: non mi rispose.
“Ma sì, papà, facciamolo. Andiamo a sputtanarci per amore”
Die Hard (1988): Nel 1988 il regista John McTiernan aveva appena raggiunto il successo internazionale grazie al clamoroso exploit di “Predator”. Nel suo film successivo adatta un romanzo che parla di un poliziotto intrappolato in un grattacielo pieno di terroristi e, dopo vari rifiuti, decide di dare la parte del protagonista alla sua sesta scelta di cast, un certo Bruce Willis, fino a quel momento celebre soltanto sul piccolo schermo grazie al telefilm “Moonlighting”. Oggi “Die Hard” è l’ennesimo film di culto degli anni 80, citato e parodiato in tantissime occasioni e amato pressoché da chiunque. Vorrei vedere, è proprio un filmone!
“John è vivo, solo John è capace di esasperare così una persona”
Fino a prova contraria (1999): La fase Clint Eastwood, cominciata nel capitolo precedente, sta andando avanti in maniera piuttosto decisa, come potete vedere. Non avevo mai visto questo suo film del 1999 e letta la trama mi aspettavo davvero un filmone: un giornalista, appena uscito dal tunnel dell’alcolismo, viene incaricato di scrivere un articolo “umano” su un condannato a morte ormai prossimo all’esecuzione. Clint scova dei dettagli che lo convincono dell’innocenza dell’uomo e dovrà combattere contro il tempo per riuscire a salvare il condannato. Nonostante la storia adrenalinica e alcune sequenze davvero ben scritte il film fa il compitino senza mai riuscire davvero a decollare ed è un peccato. Sufficienza striminzita.
“Le diciamo tutti le bugie… e io sono qui per scriverle”
Once (2007): C’è qualcosa diretta da John Carney che non sia bellissima? Non credo. In questo splendido film c’è tutto quello che si può cercare in un film irlandese: musica meravigliosa, il labile filo che separa amore e amicizia, palate di malinconia. La storia narra l’incontro tra un talentuoso songwriter di Dublino e una pianista ceca, che metteranno insieme i fallimenti delle loro vite per fare musica e tirare avanti. Un Oscar per la migliore canzone, che misteriosamente non è però quel capolavoro assoluto di “When your mind’s made up”, che ogni volta in cui vedo questo film (sì, l’ho visto almeno tre o quattro volte) mi resta appiccicata alle viscere per settimane. Guardatelo, è su Prime.
“Come si dice in ceco lo ami?”
Diabolik (2021): Come ho già detto nella recensione più approfondita, quando avevo 11-12 anni Diabolik era il mio fumetto preferito, correvo sempre a comprare nuovi albi ovunque li trovassi e avevo davvero una passione enorme per il Re del Terrore. Per questo motivo aspettavo il film dei Manetti con lo stesso interesse che potrebbe avere Diabolik nei confronti del diamante più grande del mondo. La mia attesa è stata premiata con un film riuscitissimo, forse troppo perfetto nel suo essere tale e quale al fumetto (Diabolik e Ginko sono serissimi, forse un po’ troppo freddi e bidimensionali, ma è così che li avevano creati le sorelle Giussani), che probabilmente è sia la croce che la delizia della trasposizione cinematografica. Immaginatevi però la mia gioia quando ho saputo che ci saranno altri due film sul ladro mascherato, ne vedrei mille, se potessi. Ah, Miriam Leone è meravigliosa nei panni di Eva Kant, ma questo già lo sapevamo.
“Do retta al cuore e mi fido o do retta alla ragione e ti uccido”
Tick, Tick… Boom (2021): Premetto che non amo i musical, anzi, raramente li sopporto. Certe storie sono già bellissime senza che ci sia il bisogno di stare sempre a cantare e ogni volta che vedo una scena musicale penso sempre: “Ma che ve cantate?”. Lo so, è un problema mio, ma così è e per questo motivo non vedo moltissimi film del genere (a parte “La La Land”, che vedrei 800 volte all’anno). Ad ogni modo il film di Lin Manuel Miranda non è male e non sarebbe affatto da sottovalutare se non fosse, appunto, cantato: la storia è l’adattamento cinematografico di un musical di Jonathan Larson, l’autore del cult “Rent”, che alla soglia dei trent’anni va in crisi perché ancora incapace di raggiungere il successo, nonostante i suoi innumerevoli sforzi. Andrew Garfield è davvero molto bravo, nonostante faccia terra bruciata intorno a sé per inseguire il suo sogno, è facile entrare in empatia con le sue paure, i suoi fallimenti, i suoi dubbi (ho apprezzato moltissimo la scena in cui chiede al suo migliore amico, un pubblicitario, di assumerlo nella sua società perché vuole una vita “normale”: anche io perseguo la carriera in campo artistico e devo dire che questo è un pensiero che nei momenti peggiori fa spesso capolino). Insomma, nonostante sia un musical, è un buon film, se poi vi piace il genere allora penso che vi piacerà davvero tanto (è su Netflix). Certo, mettere una canzone pure mentre il protagonista serve il brunch m’è parso un tantino eccessivo, ma tant’è.
“Devi chiederti se ti stai lasciando guidare dalla paura o dall’amore”
SERIE TV: Non sto guardando praticamente nessuna serie a parte Seinfeld, dove sono arrivato alla ottava e penultima stagione. Visto che sono molti mesi che sto dietro a questa sitcom ho deciso di velocizzare un po’ l’appuntamento con Jerry, Elaine, George e Kramer, cominciando a vedere un episodio anche a pranzo, oltre ai due fissi ogni notte, prima di dormire. Mi faccio talmente tante risate che, se da un lato sono sollevato nel poter presto mettere fine ad un appuntamento così duraturo, dall’altro sono davvero dispiaciuto all’idea di concluderlo, sono davvero affezionato ai personaggi (soprattutto a George Costanza, un inetto nevrotico e rosicone il cui personaggio esaspera i difetti che abbiamo praticamente tutti). In attesa della nuova stagione di Cobra Kai, ovviamente.

Love actually è natalizio, ma non è Natale se Hans Gruber non cade dal Nakatomi Plaza!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ben detto!!
"Mi piace"Piace a 1 persona